La consulenza tecnica d’ufficio non può essere usata per esimere la parte dal fornire l’onere della prova
È il giudice a richiederla o quando non è in possesso di specifiche conoscenze oppure quando intende verificare elementi già acquisiti
Il Tribunale di Roma, con la sentenza 12616 pubblicata il 25 agosto 2022, torna a richiamare l'attenzione sui principi regolatori del processo civile ed, in particolar modo, sul rigoroso onere della prova che grava sulle parti. La conferma arriva dalla valutazione che il giudice romano, con la sentenza in commento, fa della consulenza tecnica d'ufficio ai fini della decisione da assumere con sentenza. In materia condominiale (ma non solo) questioni di natura tecnica, oppure contabile, impongono al giudice una valutazione su questioni che, per ovvie ragioni, esulano dalla competenza del magistrato. Si pone, spesso, la necessità di valutare l'opportunità di un ingresso, nel processo, di un professionista chiamato a fornire una relazione tecnica in grado di risolvere i quesiti che in giudizio le parti propongono.
Il ruolo del consulente
Giova, preliminarmente, ricordare che nel processo i protagonisti sono le parti. Attore e convenuto piuttosto che ricorrente e resistente. Le parti hanno l'obbligo di fornire gli elementi che il giudice dovrà valutare ai fini della sua decisione. Il consulente tecnico, dal canto suo, quale ausiliario del giudice, lo affianca aiutandolo a dirimere delle questioni che non rientrano nella competenza del decidente. Nelle controversie condominiali, si assiste spesso alla necessità di ricostruzione della contabilità, piuttosto che di comprendere se un balcone sia di tipo “aggettante” piuttosto che “incassato”; se le tabelle millesimali siano corrette o errate; se un bene abbia o meno natura condominiale o si proprietà esclusiva.
L’onere della prova
I casi in cui il giudice può avere la necessità di nominare un suo ausiliario, dunque, sono diversi. Tuttavia, il ruolo delle parti, come detto, è chiaramente e nettamente disciplinato dal nostro Codice civile e dal Codice di procedura civile. L'articolo 2697 del Codice civile, rubricato «Onere della prova», dispone che «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».Il tenore letterale della norma non lascia spazio ad interpretazioni : sono le parti, titolari dei diritti controversi a dover far valere in giudizio i fatti posti a fondamento delle proprie domande. Nessun'altro può sostituirsi alle parti ed al dovere che su queste grava, di allegare e provare quanto dedotto.
Nemmeno il Ctu (consulente tecnico d'ufficio), pur nominato dal giudice, può fornire prove valide per la decisione, senza che tali prove siano state allegate dalle parti, nei modi e nei termini di legge. Infatti, oltre al Codice civile con l'articolo su richiamato (articolo 2697 Codice civile), in tema di onere della prova va ricordato che il nostro ordinamento processual civilistico, prevede un rigido regime delle preclusioni. Momenti e termini all'interno della struttura del processo civile, spirati i quali si perde il diritto di provare e contestare.
I fatti di causa
Tornando alla sentenza 1216/2022, un condomino, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificatogli dal condominio per il mancato pagamento di oneri condominiali deducendo, tra le altre, che «le somme così genericamente indicate, si riferirebbero a quote per lavori di rifacimento del terrazzo condominiale fatte eseguire dal condominio nel tentativo di porre rimedio ai gravi danni subiti nel proprio appartamento provenienti dal lastrico solare». L'opponente, pertanto, con l'opposizione avanzava anche domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni che avrebbe subito dalle suddette infiltrazioni di acqua piovana che quantificava in euro 90.000,00.
I diversi tipi di consulenza tecnica
Al fine di valutare i fatti di causa, dunque, l'attore insisteva nella invocata richiesta di ammissione di Ctu diretta ad accertare i danni quantificati complessivamente in euro 90.000,00.Sul punto, il giudice capitolino ricorda come «la consulenza tecnica d'ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio messo a disposizione delle parti bensì del giudice il quale, nell'ambito del suo potere discrezionale, compie, con prudente apprezzamento, la valutazione di nominare l'esperto». Solitamente, si legge in sentenza, ciò accade quando il giudice non è in possesso di specifiche conoscenze (cosiddetta consulenza percipiente) oppure quando intende verificare elementi già acquisiti nel processo (consulenza cosiddetta deducente).
Il predetto mezzo d'indagine, pertanto, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, avendo tali specifiche finalità «non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova» di quanto dedotto, ed è quindi «legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati» (Cassazione 15219/2007; Cassazione 9461/2010; Cassazione 6479/2002; più di recente, tra le tante 15711/2021 e Cassazione 15521/2019).
Conclusioni
In assenza di tali presupposti la consulenza tecnica disposta dal Giudice sarebbe del tutto «esplorativa con lesione del principio dell'onere probatorio che grava su ciascuna delle parti». Nella specie, parte opponente nel dedurre i fatti (infiltrazioni) aveva omesso ogni allegazione in ordine alla descrizione dei danni che in concreto sarebbero derivati da tali infiltrazioni alle strutture, agli immobili ed agli arredi mentre ha dedotto un generico mancato e/o limitato godimento delle proprietà senza produrre alcuna documentazione a sostegno.Proprio in forza dell'insufficienza allegatoria e probatoria dei suddetti elementi non è stata disposta dal Giudice la Ctu più volte sollecitata.
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di Luca Savi - coordinatore scientifico Unai Bergamo