La normale presunzione di condominialità non può essere superata per fatti concludenti
Il fatto che il bene non sia citato nel regolamento come comune non costituisce prova della proprietà esclusiva dello stesso
L'articolo 1117 del Codice civile, indica quali siano i beni comuni in edificio. Per consolidata giurisprudenza, la norma richiamata fornisce un'elencazione non tassativa dei beni ma traccia, indubbiamente, una strada utile per individuarli, almeno in via presuntiva. L'articolo 1117, infatti, individua tre categorie di parti comuni, sotto elencandoli in forza del loro rapporto strutturale o funzionale con l’edificio. Possiamo, pertanto, distinguere, tra i beni che si presumono comuni :
- parti che formano la struttura dell’edificio, in senso stretto;
- locali accessori destinati al servizio generale dello stabile;
- tutti gli impianti e le opere non indispensabili ma destinati a servizi di uso e godimento comune.
Si è già detto che l’elencazione di cui all’articolo 1117 Codice civile non ha carattere né esaustivo né inderogabile. La giurisprudenza ha avuto più volte modo di chiarire che la disposizione pone una presunzione di condominialità per i beni ivi indicati, secondo un’elencazione non tassativa, poiché derivante «sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune, sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune» (Cassazione 13262/2012).Infatti, «In materia di condominio, il cortile, salvo titolo contrario, ricade nella presunzione di condominialità ai sensi dell’articolo 1117 Codice civile , essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, senza che la presunzione possa essere vinta dalla circostanza che ad esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un condomino, in quanto l’utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all’edificio condominiale» (Cassazione civile, ordinanza 23316/2020).
La pronuncia più recente
Sul tema, è intervenuto recentemente il Tribunale di Roma, con la sentenza 18178 pubblicata il 9 dicembre 2022 in un giudizio nato per il riconoscimento del diritto alla ripartizione degli utili derivanti dalla locazione di un bene comune. Il giudice capitolino ricorda come «le norme dettate in materia di condominio non disciplinano espressamente la locazione di parti comuni dell'edificio, limitandosi alla regolamentazione delle spese relative a tali parti». Sul punto, tuttavia, «è possibile integrare tale lacuna mediante le disposizioni sulla comunione in generale, applicabili al condominio in virtù del rinvio operato dall'articolo 1139 Codice civile ».
Orbene, ricorda il Tribunale laziale, poiché in tema di comunione l'articolo 1101, comma 2, Codice civile prevede che il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle rispettive quote, «se ne ricava che ciascuno partecipa alle spese occorrenti alla conservazione e manutenzione della cosa comune e ne trae, altresì, i frutti, in ragione della quota del diritto di proprietà a lui spettante sulla cosa».
Il titolo che comprovi la proprietà esclusiva
Venendo poi al caso di specie, ove si controvertiva sulla titolarità esclusiva del bene o sulla condominialità dello stesso, «la normale presunzione di condominialità non può essere superata per via induttiva o per fatti concludenti (Cassazione 26766/2014)». La presunzione, quindi, può essere superata solo in presenza di un titolo attributivo della proprietà esclusiva, ossia allorquando da esso si ricavano elementi tali da escludere con certezza la comunione.
Il regolamento non costituisce un titolo di proprietà
In passato, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la presunzione legale suddetta può essere superata solo dalla prova di un titolo contrario, che si identifica nella «dimostrazione della proprietà esclusiva del bene in capo ad un soggetto diverso», mentre, questa «prova non può essere data dalla clausola del regolamento condominiale che non menzioni detto bene tra le parti comuni dell’edificio, non costituendo tale atto un titolo idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene e quindi la sua sottrazione al regime della proprietà condominiale (Cassazione 17928/2007 e 6175/2009). Il regolamento di condominio, infatti, non costituisce un titolo di proprietà, ma ha la funzione di disciplinare l’uso della cosa comune e la ripartizione delle spese» (Cassazione 13262/2012).
Riconosciuta, quindi, la condominialità del bene, gli attori avevano diritto a beneficiare anche della loro quota relativa alla ripartizione della rendita derivante dalla locazione del fabbricato (veranda) eretta sul cortile condominiale.