Gli specialiCondominio

Le Guide: i regolamenti contrattuali e le clausole più discusse

In 18 punti si riepilogano le principali pronunce relative alla nullità di disposizioni contenute spesso nei regolamenti e di frequente anche trascritte nei singoli atti di vendita

di Eugenio Correale

1In tema di supercondominio le clausole che dispongano la esazione delle quote dovute dai condòmini per opera degli amministratori periferici:
Tali clausole sono state considerate nulle da copiosissima giurisprudenza.
Il supercondominio è ente di gestione del tutto distinto dai condomìni ubicati nello stesso complesso immobiliare e la sua funzione è quella di gestire le cose e gli impianti legati da rapporto di accessorietà a tutte quante le porzioni immobiliari site in un dato comprensorio; ciò distingue il supercondominio dal condominio “ordinario”, che invece è chiamato a gestire le cose e gli impianti che servano quell'unico fabbricato. La Cassazione ha avvertito che soltanto la prima parte dell'articolo 1138 Codice civile che attiene alle modalità di utilizzazione delle cose comuni è derogabile. È invece inderogabile la seconda parte dell'articolo 1138, che concerne le disposizioni relative alla dinamica dell’amministrazione e della gestione condominiale.

La Corte Suprema ha precisato:l’amministratore del supercondominio può agire per il recupero dei contributi relativi ai beni comuni al supercondominio nei confronti dei singoli partecipanti. La legittimazione del condominio non si giustifica neanche in mera rappresentanza dei condòmini di ogni condominio, poiché, a fronte dell’individuazione dei partecipanti al supercondominio nei singoli condòmini degli edifici, quali titolari pro quota sulle parti comuni e con l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione, l’amministratore del supercondominio può chiedere il pagamento di detti oneri direttamente ai partecipanti e non all’amministratore dei singoli condomìni, in qualità di rappresentante dei condòmini di quel condominio.

L'amministratore del condominio periferico rappresenta i condòmini nelle sole controversie che riguardano interessi comuni al condominio, e non già nei rapporti che i singoli condòmini possono direttamente intrattenere con il supercondominio, di cui i condòmini sono partecipanti. Corte di Cassazione, sezione seconda, sentenza 22954 del 22 luglio 2022 (conforme Cassazione 1366 del 18 gennaio 2023);

2.Nei supercondomìni, le clausole che prevedano l’assemblea dei consiglieri in sostituzione di quella ordinaria: queste clausole sono considerate nulle poiché violano le norme fondamentali sul condominio. Sul punto è tuttora fondamentale la sentenza 15476 del 6 dicembre 2001, che così recita: «è nulla, per contrarietà a norme imperative, la clausola del regolamento contrattuale di condominio che prevede che l’assemblea di un supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli condomìni o da singoli condòmini delegati a partecipare in rappresentanza di ciascun condominio, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo compongono, atteso che le norme concernenti la composizione e il funzionamento dell’assemblea non sono derogabili dal regolamento di condominio».

Nello stesso senso si è espressa la sentenza Cassazione 19939 del 14 novembre 2012, con la quale è stato affermato che le materie relative ai singoli fabbricati non avrebbero potuto e dovuto essere trattate dall’assemblea del supercondominio ove si registra la partecipazione anche dei proprietari degli altri edifici. La sentenza Cassazione 19558/2013 ha confermato: è nullo il regolamento contrattuale condominiale che determini, quali partecipanti all’assemblea del supercondominio, il collegio degli amministratori dei singoli edifici in luogo di tutti i condòmini.È stato precisato che le delibere dell'assemblea del “supercondominio” hanno efficacia immediata e diretta nei confronti del singolo proprietario, senza necessità di passare attraverso le delibere di ciascuna assemblea condominiale (Cassazione 19939/2012; Cassazione 15476/2001).

3.Per la nomina dell’amministratore, le clausole che riservino al costruttore la nomina dell’amministratore: Si tratta di clausole palesemente nulle poiché violano il dettato dell'articolo 1129 Codice civile che riserva alla assemblea il potere di nomina dell'amministratore. La sentenza 13011 del 24 maggio 2013 della Cassazione ha statuito: in tema di condominio negli edifici, l’articolo 1138, quarto comma, Codice civile dichiara espressamente non derogabile dal regolamento, tra le altre, la disposizione dell’articolo 1129 Codice civile, la quale attribuisce all’assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata dell’incarico. Ne deriva la nullità della clausola del regolamento che riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all’assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, senza che abbiano a tal fine rilievo il rapporto in concreto esistente tra i condòmini o l’attività esercitata nell’edificio.

Nello stesso senso, il Tribunale Bari, con sentenza del 15 aprile 2014, numero 1940 ha statuito: è nulla la clausola del regolamento che riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all’assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, senza che abbiano a tal fine rilievo il rapporto in concreto esistente tra i condòmini o l’attività esercitata nell’edificio. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 1866 del 4 giugno 2009 aveva così affermato lo stesso principio: il patto che riservi l'amministrazione del condominio ad uno o più condòmini, anche se contenuto in un regolamento contrattuale o negli atti di acquisto dei singoli appartamenti, essendo contrario all'articolo 1129 Codice civile che conferisce inderogabilmente la nomina e la revoca dell'amministratore, è nullo sin dall'inizio se i condòmini siano originariamente almeno cinque. Diversamente, diventa invalido nel preciso momento in cui i condòmini raggiungono tale numero.

4.Per i termini di impugnazione delle delibere, le clausole che istituiscano termini inferiori a quelli dettati dall’articolo 1137 Codice civile: Clausole siffatte sono radicalmente nulle. La Cassazione, con sentenza 19714 del 21 settembre 2020 ha statuito: è nulla la clausola del regolamento di condominio che stabilisce un termine di decadenza di quindici giorni per chiedere all’autorità giudiziaria l’annullamento delle delibere dell’assemblea, visto che l’ultimo comma dell’articolo 1138 Codice civile vieta che con regolamento condominiale siano modificate le disposizioni relative alle impugnazioni delle deliberazioni condominiali di cui all’articolo 1137 Codice civile.

5.Per le sanzioni per la violazione del regolamento le clausole che prevedano sanzioni diverse da quelle pecuniarie consentite dall’articolo 70 disposizioni attuative Codice civile: si tratta di clausole nulle.Neppure il regolamento contrattuale potrebbe prevedere la comminazione dell'obbligo di espletare direttamente dei servizi (un tempo si parlava di corvè) o la sanzione della rimozione del veicolo parcheggiato male.È stato affermato:per il generale divieto di autotutela nei rapporti privati, è nulla la clausola del regolamento di condominio che, superando l’eccezionale autorizzazione di cui all’articolo 70 disposizioni attuative Codice civile, preveda, per le infrazioni dei condòmini (nella specie, parcheggio irregolare in area comune), sanzioni diverse da quella pecuniaria (nella specie, rimozione dell’autovettura).Cassazione sezione II 8206/2014.

6.Per il diritto di intervenire in assemblea mediante delegato, le clausole che vietino o limitino la facoltà di delega:La giurisprudenza considera certamente nulle le clausole che impongano generale divieto di delega o che comprimano la relativa facoltà sino a renderne quasi impossibile l'esercizio.Rientrano nella seconda casistica i regolamenti che permettano soltanto la delega al coniuge, a un familiare o a un vicino di casa.La sentenza Cassazione 8015 del 28 marzo 2017 ha statuito:la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condòmini di farsi rappresentare nelle assemblee è inderogabile, in quanto posta a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente, sicché la partecipazione all’assemblea di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento suddetto, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa, senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione.

Si sottolineano la due puntualizzazioni e quindi si evidenzia che la delibera approvata in violazione del precetto contenuto nell'articolo 67 disposizioni attuative Codice civile risulterebbe affetta da vizio di semplice annullabilità e sarebbe comunque soggetta alla cosiddetta prova di resistenza, talché nessun effetto negativo può disporsi laddove si dimostri che il voto non sia stato determinante. Occorre quindi aggiungere che la facoltà di intervenire in assemblea mediante delegato è disciplinata dall'articolo 67 disposizioni attuative Codice civile , che stabilisce: «Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condòmini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale».Si aggiunge che la norma appena trascritta contempla anche il divieto di delegare l'amministratore «per qualunque assemblea».Ne deriva che il legislatore abbia già proposto la disciplina ritenuta ammissibile, talché eventuali ulteriori limitazioni difficilmente potrebbero essere ammesse.

7.Per l’obbligo di pagare le spese, le clausole che impongano ai morosi il pagamento di interessi a tasso maggiore di quello legale:la clausola relativa agli interessi superiori a quelli legali appare ammessa, ma solo quando sia contenuta in un regolamento contrattuale.La sentenza Cassazione 10929 del 18 maggio 2011 ha statuito:La delibera con la quale l’assemblea ha modificato il regolamento di condominio nel senso della applicazione degli interessi bancari ai condòmini morosi, essendo stata approvata con una maggioranza inferiore a quella legale, è nulla; non rientra, infatti, nei poteri dell’assemblea prevedere penali a carico dei condòmini morosi, le quali possono, in teoria, essere inserite soltanto in regolamenti contrattuali, cioè approvati all’unanimità.La sentenza della Cassazione 10196 del 30 aprile 2013 ha integralmente confermato l'insegnamento, successivamente fatto proprio dal Tribunale di Lucca con sentenza 824 del 21 maggio 2018.Una interessante sentenza (Cassazione 20786/2015), pur senza approfondire il tema, ha evitato di contestare la validità dell'addebito di interessi al 14% annuo.

8.Per l’obbligo di pagare le spese, le clausole di esonero dal pagamento di quelle imposte dal proprietario unico in relazione alle unità immobiliari non vendute:La Cassazione continua a riconoscerne la validità, che peraltro negli ultimi anni è stata più volte discussa e talvolta anche contestata. Si tratta delle clausole che stabiliscono che le spese condominiali debbano essere ripartite fra i soli acquirenti delle unità abitative, con esonero quindi dell'ex proprietario unico dell'edificio per le unità rimaste invendute. Non vi è dubbio che siffatte imposizioni prestino il fianco a numerose critiche, in primo luogo per la indeterminatezza dell'obbligo posto a carico degli acquirenti per un periodo non determinato e dipendente dalla volontà del venditore e inoltre per lo squilibrio che si determina nell'ambito della compagine dei condòmini, segnata dallo speciale favore che uno di loro si è assicurato.

La recente sentenza 20007 del 21 giugno 2022, scritta magistralmente dal consigliere Antonio Scarpa ha confermato l'insegnamento tradizionale per il quale il regolamento configura «contratto plurilaterale, avente, cioè, pluralità di parti e scopo comune, nel quale non si pone un nesso di reciprocità tra le prestazioni o le attribuzioni patrimoniali, né rileva il pericolo di uno squilibrio fra diritti ed obblighi contrapposti (conformi sentenze: 16321/2016; n. 19832/2019 e 497/2021 che già indicavano come la validità delle clausole di esonero non può essere scrutinata alla luce del codice del consumo)».

Pertanto la legittimità della clausola di esonero deve essere valutata alla luce del complessivo programma obbligatorio, secondo i profili del «significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» e della «buona fede», ai sensi dell'articolo 33 del Codice del consumo ed in riferimento alle condizioni che incidano sulla portata della prestazione traslativa di dare dovuta dall’alienante, «la quale si estende di regola alle parti comuni, ovvero sul corrispettivo dovuto dal compratore per il bene venduto alle unità immobiliari di sua proprietà». La sentenza in commento ribadisce inoltre il principio per il quale l'invalidità della clausola sul riparto delle spese può essere decisa soltanto con il litisconsorzio necessario di tutti i condòmini (così anche Cassazione 6656/2021).

9.Per il condominio parziale le clausole che consentono al condomino di istituire un secondo accesso su una rampa diversa da quella che già serve il suo appartamento:Il tema concerne la diffusa propensione a modificare il numero delle unità immobiliari, accorpandole o frazionandole. Quando si unificano due appartamenti che in precedenza erano serviti da due scale diverse, si pone il problema delle spese, che l'interessato non vorrebbe pagare per entrambe le scale.

Quando, al contrario, si divide un grande appartamento, si pone il problema di verificare se sia possibile instituire un secondo accesso, che colleghi la nuova unità immobiliare ad una scala diversa da quella utilizzata ab origine. Con riferimento alla unificazione di due unità immobiliari è utile richiamare l'ordinanza 28155 del 27 settembre 2022 della Cassazione:«In materia di ripartizione delle spese condominiali, non sussiste legittima ragione per esonerare il condomino dalle spese relative all’impianto di ascensore se la porta di accesso al piano ove è ubicata la sua proprietà sia stata sbarrata per scelta del medesimo in seguito ai lavori di ristrutturazione e non per iniziativa del condominio».

Si trattava di un condomino che, avendo unificato due appartamenti muniti di accessi separati su due diverse scale, aveva deciso di chiudere una porta e pretendeva di autosospendersi dall'obbligo di concorrere nelle spese relative alla scala che non intendeva più usare. La soluzione, univoca ed ineccepibile, trova conferma con il secondo caso suggerito: quello dello stesso condomino che a distanza di anni divide la proprietà che aveva unificato e chiede di ripristinare la porta eliminata.Si osserva che in linea di principio la richiesta è pienamente ammissibile, poiché la chiusura della porta non comporta rinuncia alla contitolarità della scala.

Occorre però distinguere l'ipotesi anzidetta dal caso nel quale il condomino chiede di praticare un nuovo accesso, servendosi di una scala che non era destinata ab origine a servire la sua proprietà.Per queste diverse evenienze si ricorda la seguente decisione: «la realizzazione di un accesso tra il proprio appartamento e una rampa di scale differente da quella che già serve l’unità immobiliare del conduttore, è illegittima (Cassazione sentenza 35955 del 22 novembre 2021). L'estensore della ordinanza ha avuto cura di precisare che la “nuova scala” non consente neppure l’accesso al lastrico solare, al vano contatori e al vano archivio, non potendosi così ritenere collegata alla proprietà degli attori da alcun rapporto di pertinenzialità.

10.Per l’istituzione di diritti particolari sulle parti comuni, le clausole che consentono al costruttore di godere di servitù a danno delle parti comuni:Si tratta delle clausole che abilitino il costruttore ad utilizzare il fondo condominiale e le parti comuni per il passaggio, veicolare o pedonale, a favore di edifici da costruire, oppure di utilizzare il fondo condominiale e le parti comuni per la posa di condutture o per la realizzazione di nuovi accessi.Tali clausole sono, in linea di principio, ammissibili purché abbiano oggetto determinato, siano contenute in un contratto raccolto da notaio e siano trascritte.Occorre prestare attenzione, però, ad un elemento del quale di solito non viene avvertita la decisiva rilevanza ed occorre ricordare che sono soggette a circolare assieme alla titolarità dei beni unicamente i diritti che abbiano modificato le qualità dei beni immobili.

Al contrario, le clausole che incidano semplicemente sui diritti personali, non possono estendersi oltre la cerchia di chi le abbia stipulate, se non in seguito ad espressa accettazione.Per arrivare rapidamente alla soluzione dei problemi in discorso occorre distinguere:
1.le situazioni nelle quali già esiste l'immobile che potrà giovarsi della concessione. In tale caso il diritto sulla cosa altrui è immediatamente fruibile e già esiste la possibilità di giovarsi della parte comune: la giurisprudenza ritiene che le clausole che dispongono in tal senso comportino atti di costituzione e/o di disposizione di diritti reali;
2.le situazioni nelle quali il beneficio concerne un edificio ancora da realizzare, che necessariamente segue la regola opposta e si mantiene sul piano dei semplici obblighi assunti dai contraenti ed impegnativi solo per costoro. Infatti, appare evidente che per passare dalla semplice previsione ai fatti concreti occorre che giunga ad esistenza l'edificio destinato a fruire delle parti comuni del condominio già costituito.

La distinzione si collega al dato testuale contenuto nell'articolo 1029 secondo comma del Codice civile, nel quale è specificato: «È ammessa altresì a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare; ma in questo caso la costituzione non ha effetto se non dal giorno in cui l’edificio è costruito o il fondo è acquistato».La giurisprudenza ha preso in considerazione la diversità che abbiamo evidenziato ed ha insegnato:«La servitù per vantaggio futuro e la servitù a vantaggio di edificio da costruire, previste rispettivamente dai commi 1 e 2 dell’articolo 1029 Codice civile, si distinguono in quanto, mentre la prima assicura al fondo dominante una utilitas immediatamente esistente al momento della sua costituzione, nella seconda la utilitas consiste in un vantaggio di cui soltanto l’edificio costruendo potrà godere, sicché il contratto che la prevede non produce immediatamente effetti reali, ma soltanto obbligatori, per i quali opera l’ordinario termine di prescrizione previsto per le obbligazioni, decorrente dalla costituzione del vincolo, e non quello ventennale sancito dall’articolo 1073 Codice civile per le ordinarie servitù prediali».

« Ciò comporta che, mentre nel primo caso la servitù è opponibile agli acquirenti del suolo passivamente gravato, purché sia adempiuto l’onere della sua trascrizione, inerendo il vantaggio e il corrispondente onere direttamente ai suoli non ancora edificati con carattere di realità, nel secondo caso i successivi acquirenti del fondo non subentrano nel rapporto obbligatorio facente capo al loro dante causa se non mediante apposite e specifiche pattuizioni, senza che rilevi la trascrizione della clausola costitutiva della servitù a favore dell’edificio da costruire. (Cassazione ordinanza 32858/2022, conformi Cassazione 7618/1994, Cassazione 9727/2000; Cassazione ordinanza 10486/2018).

11. Per l’istituzione di diritti particolari sulle parti comuni le clausole che consentono al vicino di costruire senza il rispetto delle distanze legali:Utilizzando le cognizioni già acquisite si può procedere celermente e quindi si può offrire immediatamente la soluzione indicata dalla giurisprudenza: la clausola con la quale il proprietario unico del sedime destinato ad ospitare il nostro condominio ha accettato di consentire la realizzazione di una costruzione da parte del confinante, senza il rispetto delle distanze legali, ha natura obbligatoria e si prescrive in dieci anni da quando è stata stipulata.

La Cassazione, con sentenza 4839 del 14 novembre 1989 ha affermato:«A differenza dell’ipotesi prevista dal 1° comma, articolo 1029 Codice civile (costituzione di una servitù per un vantaggio futuro), in cui essendo esistenti tutti gli elementi necessari per la costituzione della servitù (fondo dominante, fondo servente, salva la utilitas in quanto connessa con la futura destinazione o utilizzazione del fondo dominante), la servitù viene ad esistenza immediatamente, la convenzione di cui al 2° comma, articolo 1029 diretta alla costituzione di una servitù a favore o a carico di un edificio da costruire (che anche nel regime del previgente codice civile del 1865 restava consentita alle parti per la loro autonomia nell’ambito contrattuale) dà luogo alla costituzione di un rapporto obbligatorio suscettibile di tramutarsi in un rapporto di natura reale soltanto al momento in cui l’edificio è costruito.

I diritti fondati su quel vincolo, finché esso rimane di natura obbligatoria, si prescrivono secondo le norme ordinarie in materia di obbligazioni, decorrendo la prescrizione dal momento costitutivo del vincolo stesso (e cioè dalla data della convenzione) e non dalla costruzione dell’edificio.La sentenza ha confermato la motivazione scolpita dalla sentenza con la quale il Tribunale ha interpretato la convenzione con la quale alcuni proprietari dichiaravano di non opporsi ad una futura ed eventuale sopraelevazione della casa del vicino ed ha affermato che i contraenti dettero vita ad un rapporto meramente obbligatorio soggetto alla prescrizione ordinaria, decennale, ampiamente maturata. (conformi Cassazione 4630/1987; Cassazione 1622/1987).

12.Per i grandi complessi edilizi ancora da completare le clausole che consentono al costruttore di aggregare nuovi edifici ai condomìni già realizzati.In linea di principio, tali clausole sono ammissibili purché abbiano oggetto determinato, siano contenute in un contratto raccolto da notaio e siano trascritte.In un condominio era stato consentito al costruttore di realizzare “con diritto di superficie” una autorimessa interrata andando ad occupare non soltanto il sottosuolo ma anche parte del cortile comune.In numerosissimi altri casi il costruttore ha tentato di riservarsi il diritto di aggregare ai condomìni già realizzati i nuovi fabbricati che al momento della costituzione del condominio non erano ancora neppure progettati.

Si richiamano le seguenti pronunce:«L’obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unità immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente s’incarica il costruttore di predisporre, come non vale a conferire a quest’ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, così non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto a un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest’ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto». (Cassazione 3104/2005; conforme Cassazione 4905/1990).

Le clausole in discorso quindi devono rispettare i requisiti di cui all’articolo 1346 Codice civile e devono determinare chiaramente l'oggetto delle attività e la misura delle nuove realizzazioni, specificando le restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva di chi sia già condomino ovvero di quelle relative alle parti condominiali dell’edificio. Ovviamente, poiché tali clausole hanno il valore di “titolo contrario” rispetto alle previsioni contenute nell'articolo 1117 Codice civile in quanto limitano la libera disponibilità dei beni comuni da parte dei condòmini, si conferma la necessità della trascrizione e si evidenzia che il termine di prescrizione è di venti anni, ai sensi dell’articolo 954, comma 4, Codice civile, talché le nuove opere possono essere realizzate soltanto con il rispetto di tale termine.

13.Le clausole che consentano all’ex proprietario unico di sopraelevare senza corrispondere l’indennità ex articolo 1127 Codice civile:Si tratta di clausole divenute frequenti da quando chi ha il governo delle operazioni di vendita frazionata ha percepito l'utilità di cedere anche i diritti sul sottotetto, in vista di una sopraelevazione o del recupero ai fini abitativi.La giurisprudenza riconosce la validità delle clausole con le quali si disponga del diritto di sopraelevare.Tra le tante, si cita la sentenza 1633 del 29 maggio 1971, seguita da numerose altre sentenze ( Cassazione 7563/2019; 8943/2019; 2837/1969).

Il diritto di sopraelevazione, spettante al proprietario dell’ultimo piano di un edificio e al proprietario esclusivo del lastrico solare, ai sensi dell’articolo 1127, primo comma Codice civile può formare oggetto autonomo di trasferimento a favore di terzi, con la conseguenza che il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare possono conservare la loro proprietà e vendere il diritto di sopraelevazione ovvero riservarsi tale diritto e vendere la proprietà del piano o del lastrico. Neppure la clausola di esonero dell'obbligo di versare l'indennità appare inficiata da evidenti profili di nullità.

Tuttavia, chi intende redigerla ed avvalersene deve considerare che titolari del diritto all'indennità sono coloro che rivestono la qualità di condòmini al momento in cui viene completato l'intervento e quindi dovrà curarne la opponibilità ai nuovi condòmini e dovrà istituire precisi obblighi a carico di chi ceda la sua proprietà, affinché nell'atto di vendita sia inserita specifica clausola di accettazione da parte degli acquirenti, destinati a divenire nuovi condòmini.

Una recente sentenza ha chiarito che le clausole di esenzione dell'obbligo di versare l'indennità di sopralzo che siano state inserite in atti antecedenti all'entrata in vigore del codice civile (1942) non possono applicarsi alle sopraelevazioni eseguite sotto l'imperio del nuovo codice: «in tema di condominio negli edifici, il condòmino che si avvalga della facoltà di sopraelevazione ai sensi dell’articolo 1127 Codice civile è tenuto a corrispondere la relativa indennità, anche quando il titolo di provenienza, risalente al periodo antecedente all’entrata in vigore del codice civile del 1942, abbia esonerato il proprio dante causa dal predetto obbligo alla luce del disposto di cui all’articolo 564 dell’abrogato Codice civile, atteso che l’esercizio della detta facoltà, essendosi consumato nella vigenza della nuova disciplina, è ad essa soggetto in base al principio del “fatto compiuto”, senza che possa invocarsi il principio della irretroattività della legge ex articolo 11 delle Preleggi (Cassazione sentenza 20007 del 21 giugno 2022).

14.Per il distacco dall’impianto di riscaldamento le clausole che lo vietano:con sentenza 8553 del 13 marzo 2022 la Cassazione ha statuito: «La clausola contenuta in un regolamento condominiale, che vieta il distacco dal riscaldamento centralizzato, deve considerarsi nulla. Si può precisare che tali clausole ricorrono molto frequentemente e quasi sempre fissano esattamente il divieto di scollegare le condutture del riscaldamento. Il principio di diritto appena ricordato era già stato enunciato dalla sentenza Cassazione 28051/2018, che aveva precisato che «rimane invece nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento condominiale, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, seppure il suo distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento né aggravio di spesa per gli altri partecipanti».

Difatti, la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dall’articolo 1118 Codice civile, comma 4, legge 10 del 1991, articolo 26, comma 5 e Dlgs 102 del 2014, articolo 9, comma 5 (come modificato dall’articolo 5, comma 1, lettera i, punto i), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l’uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe perciò nulla o «non meritevole di tutela».

Allo stato le indicazioni offerte dalla Cassazione appaiono sostanzialmente insuperabili. È comunque opportuno evidenziare che in alcune situazioni la presenza dell'impianto di riscaldamento ed il suo funzionamento, magari in misura attenuata, costituisce condizione per il funzionamento in sicurezza di tutte quante le condutture comuni: ciò accade in montagna e nelle zone nelle quali le temperature notturne scendono molto al di sotto dello zero.

15.Per il superamento delle barriere architettoniche la nullità delle clausole che ostacolano la concreta attuazione della tutela dei portatori di handicap:La Cassazione ha riconosciuto la nullità delle clausole contenute in un regolamento contrattuale e con le quali si impedisca l'eliminazione delle barriere architettoniche: «L’ascensore rappresenta un’opera volta a superare le barriere architettoniche e il singolo condomino può assumersi interamente il costo della relativa costruzione purché siano rispettati i limiti previsti dall’articolo 1102 Codice civile. Pertanto, l’installazione di un ascensore e la conseguente modifica delle parti comuni non possono essere impediti dalla disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione dell’opera stessa all’autorizzazione del condominio (Cassazione sentenza 1462/2018).

La stessa sentenza ha segnalato che la realizzazione di opere volte al superamento delle barriere architettoniche rientra tra i poteri di cui dispongono ai singoli condòmini ai sensi dell’articolo 1102 Codice civile, (Cassazione sentenza 14096//2012; Cassazione 10852/2014). Inoltre, Cassazione 7938/2017 ha confermato la regola secondo cui in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la legge 13 del 1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici.

Più di recente anche la Corte d'appello di Roma (sentenza 5258 del primo agosto 2022) ha dato attuazione ai principii che la Corte costituzionale ha affermato addirittura venticinque anni fa ed ha precisato che deve considerarsi illegittima la clausola del regolamento contrattuale che impedisca il soddisfacimento delle esigenze dei portatori di handicap: «In materia di eliminazione di barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, sicché la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi unicamente in forza di disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione di qualunque opera che interessi le strutture portanti, modifichi impianti generali o che comunque alteri l’aspetto architettonico all’autorizzazione del condominio».

« Tale disposizione del regolamento condominiale risulta infatti recessiva rispetto all’esecuzione di opere indispensabili ai fini di una effettiva abitabilità dell’immobile, dovendo in tale caso verificarsi che dette opere, se effettuate a spese del condomino interessato, rispettino i limiti previsti dall’articolo 1102 Codice civile. Nel compiere tale verifica, il giudice di merito dovrà tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettività dell’utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati».

16.Per la portineria le clausole che ricordano che esiste un locale guardiola o il servizio di portierato e quelle che istituiscono l’obbligo di mantenere la guardiola o il servizio di custodia:Sono clausole valide, in linea di principio, ma è necessario verificare se siano rivolte alla istituzione di vincoli alla proprietà o se, come accade quasi sempre, descrivono semplicemente la realtà esistente, senza imporre vincoli per il futuro.

È stato affermato: «Se il regolamento condominiale, predisposto dal costruttore ed accettato dai condòmini nei singoli atti di acquisto, si limita, nell’interesse collettivo di costoro, ad istituire e disciplinare un servizio condominiale tendente essenzialmente alla custodia e pulizia delle cose comuni, senza attribuire ad alcuno dei condòmini speciali diritti e vantaggi, è lecita la sostituzione di quel servizio riconosciuto oneroso con altri mezzi idonei, deliberata dalla maggioranza dell’assemblea dei condòmini e non all’unanimità, non versandosi nella ipotesi di cui all’articolo 1120, comma 2, Codice civile».(Cassazione 158/1966).

La clausola del regolamento di condominio istitutiva del servizio di portierato, in quanto non attribuisce ai condòmini diritti soggettivi, ma riguarda l’amministrazione della cosa comune, può essere abolita o modificata col voto favorevole della maggioranza dei condòmini, senza che occorra l’unanimità dei consensi. Tribunale Milano, 14 maggio 1990

17.Per il cortile e la destinazione a parcheggio le clausole del regolamento che estromettano dall’uso i condòmini non residenti: Ovviamente, la materia della disciplina dell'uso delle cose comuni può formare oggetto di accordi tra tutti gli interessati, per tutti gli atti che comportano vera e propria disposizione dei diritti individuali, mentre rientra fra le attribuzioni dell'assemblea, per quanto attiene alla semplice disciplina.Pertanto solo il regolamento contrattuale può stabilire vincoli permanenti alla utilizzazione del cortile, ad esempio introducendo ex novo il divieto del parcheggio.Competono invece alla assemblea le decisioni che comportino semplice disciplina, quale ad esempio la istituzione di turni o altre modalità di uso.

Con sentenza 991 del 10 marzo 2023 il Tribunale di Napoli ha statuito: «È nulla la delibera approvata dall’assemblea condominiale che estromette dall’uso del parcheggio condominiale in cortile il proprietario dell’immobile a uso non abitativo e il relativo conduttore del locale commerciale laddove solamente il regolamento di natura contrattuale può limitare l’uso del parcheggio a favore di alcuni condòmini, estromettendone altri».

Di recente la Cassazione, con ordinanza 14019 del 22 maggio 2023 ha statuito: «La delibera assembleare che, in considerazione dell’insufficienza dei posti auto in rapporto al numero dei condòmini, abbia previsto l’uso turnario e stabilito l’impossibilità, per i singoli condòmini, di occupare gli spazi ad essi non assegnati anche se i condòmini aventi diritto non occupino in quel momento l’area parcheggio loro riservata, costituisce corretta espressione del potere di regolamentazione dell’uso della cosa comune da parte dell’assemblea».

18.Per i vincoli alle proprietà esclusive le clausole che assegnano diritto di prelazione ai condòmini, nel caso di vendita di un appartamento in condominio:Si tratta di clausole valide, ma che vincolano soltanto chi le abbia stipulate o chi le abbia espressamente accettate.Il patto di prelazione impone l'obbligo di preferire un particolare soggetto (ovvero un soggetto individuato per la sua partecipazione ad un particolare gruppo) nella stipula di un contratto.La prelazione si intende sempre “alle stesse condizioni” che possano provenire da altro offerente.Quindi la prelazione comporta che il suo titolare sia disposto a stipulare il contratto definitivo alle condizioni che l'attuale proprietario abbia spuntato o possa ottenere.

Nel 2010 le Sezioni unite hanno affrontato il duplice tema della non trascrivibilità del patto di prelazione e della impossibilità di estenderne l'efficacia e la vincolatività al di fuori dei soggetti che lo abbiano stipulato:«Il patto con cui le parti costituiscono un diritto di prelazione per il caso di vendita di un bene immobile non è trascrivibile, così come la relativa domanda giudiziale di accertamento, poiché, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di contratto preliminare, in tal caso non è individuabile alcun obbligo di futuro trasferimento rispetto al quale ha senso assicurare l’effetto di prenotazione della trascrizione. (Cassazione Sezioni unite 6597/2011). Il patto di prelazione non può essere trascritto perché da esso non può derivare alcun obbligo di futuro trasferimento a carico dei proprietari succeduti a chi aveva stipulato quel patto.