Condominio

Locale caldaia di proprietà esclusiva se destinato all'uso comune dopo la nascita del condominio

Il collegamento funzionale creato successivamente giustifica solo l'eventuale costituzione di una servitù

di Roberto Rizzo

La corte di Cassazione, con l'ordinanza 35514 del 19 novembre 2021, afferma il principio secondo il quale il locale caldaia di proprietà esclusiva di alcuni condòmini, resta tale anche qualora venga destinato all'uso comune dopo la nascita del condominio.
In tal caso, la connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell’edificio creata solo in un secondo momento, può giustificare -al massimo- la costituzione di una servitù gravante sul volume tecnico.

I fatti
Riformata, dunque, la decisione della Corte d'appello de L'Aquila che aveva respinto la domanda delle ricorrenti, volta ad ottenere l'accertamento del loro diritto di proprietà esclusiva su alcuni vani posti al piano terra dell'edificio condominiale, destinati a contenere la caldaia, nonché a negarne la condominialità.In particolare, la Corte distrettuale ha posto alla base della propria decisione la circostanza per la quale i locali nei quali sono ubicati gli impianti termici ed idrici sono soggetti alla presunzione di condominialità ai sensi dell'articolo 1117 Codice civile.

Nel caso in esame, ad avviso del Collegio, tale presunzione non poteva essere vinta dagli atti di donazione, traslativi della proprietà dei volumi tecnici dal costruttore alle ricorrenti, in quanto doveva escludersi che la sala caldaia fosse stata oggetto degli atti di disposizione da parte del donante.La Suprema corte, investita della controversia, ha rilevato un duplice errore di diritto operato dalla Corte d'Appello.

Gli errori nella pronuncia di merito
In primo luogo, il giudice dell'impugnazione ha omesso di valutare adeguatamente la circostanza per la quale la donazione, che costituisce il titolo contrario necessario e sufficiente a vincere la presunzione di condominialità, aveva ad oggetto gli immobili nella loro conformazione originaria, ossia vuoti, liberi e sgombri dalla caldaia e donati alle ricorrenti dall'unico proprietario, senza alcuna specifica destinazione all'uso comune.In secondo luogo, la Cassazione, pur evidenziando che senza dubbio rientrano tra le parti comuni dell'edificio anche i cosiddetti volumi tecnici, destinati a contenere gli impianti dell'edificio (vani ascensore, caldaia, autoclave, contatori), ribadisce che affinché possa considerarsi condominiale il vano caldaia, occorre accertare che la relazione di accessorietà fra il locale che contiene l'impianto e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva fosse già esistente al momento della nascita del condominio (Cassazione 3852/20).

Il momento in cui è nata la relazione di accessorietà
Nel caso di specie, al contrario, il collegamento tra il vano (privato) e la proprietà comune è stato creato solo successivamente alla nascita del condominio.Da ciò potrebbe, al massimo, farsi discendere la costituzione di una servitù a carico della porzione di proprietà esclusiva e non certamente la piena appartenenza al condominio del volume tecnico oggetto di causa (Cassazione 17022/19; Cassazione 884/18). Per i giudici di Piazza Cavour, risulta essenziale, dunque, individuare con precisione il momento genetico del vincolo di destinazione all'uso comune degli ambienti che contengono gli impianti comuni.

Infatti, se il condominio preesiste all'installazione della caldaia in un determinato locale, la condominialità del vano, ove essa è stata ubicata, si presume; altrimenti, se, com'è accaduto nel caso di specie, la caldaia è stata posizionata solo dopo, sarà onere del condòmino che rivendica la proprietà esclusiva dei locali che la contengono, provare che, al momento della nascita del condominio, essi erano già stati sottratti alla loro naturale destinazione comune prevista dalla legge (Cassazione 9523/2014).

La prova dell'esclusione della condominialità, dev'essere fornita mediante la produzione del titolo contrario, di cui all'articolo 1117 Codice civile. Avendo le ricorrenti pienamente assolto a tale onere probatorio, la sentenza di secondo grado viene, dunque, cassata, nei limiti delle censure accolte, e rinviata alla medesima Corte d'appello, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di lite.

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