Locazione

Locazione a canone concordato, l'importanza dell'attestazione

Rilasciata da una associazione, deve ratificare la conformità del contratto, ma non è chiaro chi sia responsabile di eventuali inesattezze e cosa rischi

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di Matteo Rezzonico

I contratti di locazione cosiddetti “a canone concordato” di cui all'articolo 2 comma 3 della legge 431/1998 – che hanno una durata di 3 anni più ulteriori 2 anni di proroga – oltre ad essere caratterizzati da un canone definito da accordi locali tra associazioni di proprietari e sindacati degli inquilini, prevedono delle agevolazioni fiscali sia per il locatore (in termini di tassa di registro ridotta Irpef ridotta o di cedolare secca al 10% e di Imu), sia per il conduttore (esempio la riduzione irpef per determinate categorie di reddito). Gli inquilini godrebbero inoltre di un canone ribassato rispetto al mercato libero, stante il calmiere introdotto dall’accordo locale.

La definizione degli accordi territoriali

Gli accordi locali che definiscono il canone concordato trovano il loro fondamento su di una serie di criteri generali definiti a livello nazionale da una convenzione stabilita dalle associazioni dei proprietari e dai sindacati degli inquilini, in base alla legge 431/1998. In particolare l'articolo 2 comma 3 e l'articolo 4 disciplinano, il coinvolgimento da parte dei rappresentanti delle associazioni dei proprietari di immobili e dei sindacati degli inquilini, convocati ogni quattro anni dal ministero dei Lavori pubblici. I canoni sono quindi determinati basandosi su una serie di parametri oggettivi quali, fra gli altri, la tipologia dell'alloggio e dell'intero stabile, le pertinenze, la presenza di spazi comuni, la dotazione di servizi tecnici, la presenza di arredi, l'ubicazione dell'immobile con ricorso all'individuazione di microzone sul territorio del comune.

L’attenzione di rispondenza e le regole di rilascio

Ai Comuni spetta convocare le associazioni che andranno a definire gli accordi territoriali e, successivamente, a rilasciare l'attestazione di rispondenza del contratto all'accordo, che dà accesso ai benefìci fiscali (risoluzione agenzia delle Entrate 20 aprile 2018 numero 31/E).Tale “certificazione” - necessaria per i contratti stipulati senza l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini - serve a dimostrare che l'importo del canone e il contenuto normativo della locazione siano conformi all'accordo locale sugli affitti concordati.

Semplificando, e senza alcuna pretesa di esaustività rispetto ad un tema complesso, la Confappi – che di recente ha organizzato a Milano, Palazzo delle Stelline, il IX Congresso nazionale – ritiene che le associazioni, pur se non firmatarie dell'accordo locale, potrebbero comunque accettarlo e ratificarlo in un momento successivo. Conseguentemente tutte le associazioni se rappresentative potrebbero - pur relativamente ad accordi locali cui non abbiano partecipato direttamente - rilasciare l’attestazione di conformità, relativamente a contratti individuali non assistiti.

Altre associazioni ed altra dottrina evidenziano invece che il tenore letterale della disposizione ( l'articolo 1 comma 8 del Dm 16 gennaio 2017 per il quale «(…) gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali»), non consentirebbe una tale interpretazione, sicché, salvo diversa clausola contenuta nell’accordo locale, la mancata partecipazione alle trattative impedirebbe all’associazione di rilasciare l’attestato.

Chi risponde dell’attestazione non conforme

Dal punto di vista contrattuale, il presidente della sede dell'associazione che ha rilasciato l'attestazione è il soggetto che risponde di eventuali danni verso gli associati conseguenti al rilascio del documento. Potrebbe inoltre sussistere anche una responsabilità di natura extracontrattuale per il danno a un terzo non associato, ad esempio un comproprietario, tenendo conto che l'articolo 13, comma 4, della legge 431/1998 prevede che «(…) è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie».

In caso di violazione, il locatore è obbligato a restituire al conduttore le somme percepite in eccesso rispetto al canone previsto dall'accordo locale. È dubbio invece se chi rilasci l'attestazione in assenza dei presupposti di legge possa anche essere punito dal punto di vista penale. Per esempio l'articolo 481 del Codice penale punisce la falsità ideologica da parte di persone esercenti un servizio di pubblica necessità, prevedendo che «chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51 a euro 516». Ed infatti l'attestazione non costituisce un vero e proprio certificato.

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