Gestione Affitti

Locazioni e opponibilità in caso di esecuzione forzata: come si prova se un contratto di locazione è ingiusto?

In assenza dei requisiti previsti dal Codice civile, conduttori e subconduttori perdono il diritto di rimanere nell’immobile e i contratti non sono opponibili al creditore

di Edoardo Valentino

Il caso che ci occupa riguardava un’esecuzione immobiliare realizzata su una struttura alberghiera. Un creditore procedente aveva infatti agito pignorando un immobile adibito ad albergo, di proprietà di una società sua debitrice. L'hotel, però, era stato affittato ad una società per circa € 46.000,00 annui e, in seguito, subaffittato ad altra società per il maggior importo di € 120.000,00 di canone annuale. Secondo il creditore procedente, tuttavia, il contratto di affitto principale non sarebbe stato opponibile alla procedura di esecuzione immobile in ragione delle disposizioni di cui all'articolo 2923 del Codice Civile.

Cosa prevede l’articolo 2923 del Codice civile

Tale norma prevede infatti, ai commi 1, 2 e 3 che «le locazioni consentite da chi ha subìto l’espropriazione sono opponibili all’acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l’acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede», che «le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento non sono opponibili all’acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione» e, infine, che «in ogni caso, l’acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni».

Tale norma, quindi, serve per stabilire elementi oggettivi in presenza dei quali – anche in corso di esecuzione immobiliare – i conduttori (e/o subconduttori) sono tutelati e mantengono il diritto di permanere nella struttura, essendo irrilevante il cambio di proprietà susseguente all'esecuzione immobiliare. Il corollario, tuttavia, è che in assenza dei predetti requisiti, invece, i contratti di locazione e sublocazione sono destinati a cadere, non essendo gli stessi opponibili al creditore in sede di esecuzione.

Le pronunce di merito e la decisione della Cassazione

Nel caso in questione, i primi due gradi di giudizio affermavano l'opponibilità del contratto di locazione al creditore procedente. A parere del primo giudice, poi suffragato dalla conferma della Corte d'appello, sarebbe stato onere del creditore procedente fornire elementi di prova in merito all’«ingiustizia» del prezzo del contratto di locazione e il mancato raggiungimento di tale prova avrebbe reso il contratto del tutto opponibile al procedente. La vicenda approdava quindi alla Cassazione, a seguito di ricorso del creditore. Con la sentenza numero 23508 del 27 luglio 2022 , gli Ermellini accoglievano il ricorso proposto. In buona sostanza, a parere della Suprema corte, spetta sì al creditore procedente fornire prova dell’ingiustizia del valore del contratto di locazione (ai sensi dell'articolo 2923, comma 3, del Codice civile), ma la norma citata non propone alcuna limitazione per provare tale elemento.

La sproporzione tra i contratti rende illegittima l’opponibilità

Nel caso in questione, ad esempio, il creditore aveva invocato l'ingiustizia del contratto di locazione sulla base del raffronto dello stesso con il contratto di sublocazione, che era di importo superiore a tre volte lo stesso. Come poteva essere considerato giusto per il proprietario un contratto di locazione per un immobile che, a sua volta, era stato ceduto in sublocazione per un importo di più di tre volte superiore? A detta della Cassazione, infatti, il raffronto tra i due contratti poteva ben essere posto come elemento di prova, come potevano costituire prove tutti gli argomenti utili a dimostrare la sproporzione del contratto di locazione, financo mediante l'utilizzo di presunzioni (si veda Cassazione, 16243/2005). Alla luce di tale ragionamento, quindi, la Cassazione contestava l'errore valutativo commesso dalla Corte d'appello e, cassata la decisione, rinviava il giudizio per una nuova valutazione nel merito.

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