Necessario provare il pregiudizio prodotto dal gazebo per ottenerne la rimozione
Le pronunce sul tema comunque sono molteplici e non univoche e le conseguenze in tema di distanze mutano in ragione del carattere costruttivo
La vicenda trae origine dalla installazione di un gazebo ancorato alle mura perimetrali dell'edificio ed insistente sul marciapiede condominiale. L'iniziativa, praticata da un condomino, veniva considerata lesiva da un altro condomino per cui quest'ultimo adiva il Giudice di pace. Il decidente onorario accoglieva la doglianza dichiarando l'illegittimità del gazebo e conseguentemente ne ordinava la rimozione. La pronuncia veniva gravata avanti il Tribunale di Catania. La curia catanese riformava la sentenza rilevando che il gazebo non pregiudicava l’utilizzazione del muro comune e non menomava il decoro dell'edificio.
Le pronunce di merito difformi ed il ricorso in Cassazione
Osservava, poi, che la modifica non oltrepassava le limitazioni nell'utilizzo del bene comune imposte dall'articolo 1102 Codice civile, né ledeva il godimento dei restanti condòmini e tantomeno il decoro architettonico del plesso edilizio. Avverso tale responso, il condomino ricorreva alla Suprema corte lamentando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 Codice civile. Con l'unico motivo articolato, il ricorrente si lamentava del gazebo ritenendo che la sua realizzazione necessitava della approvazione assembleare totalitaria.
Ragioni decisorie
La Corte di legittimità, con ordinanza del 22 febbraio 2022, numero 5809, ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile. Al riguardo, ha rilevato che un condomino che agisce in giudizio per conseguire la rimozione di un gazebo realizzato su parti comuni deve offrire la prova del superamento dei limiti dell'uso paritetico del bene comune previsti dall’articolo 1102 Codice civile. Il ricorrente, osserva la Corte, non ha fornito elementi volti a dimostrare che dalla installazione del gazebo siano derivati pregiudizi all'utilizzo del muro perimetrale. Nemmeno la prova della dedotta lesione al decoro dell'edificio è stata offerta.
Secondo i giudici di Piazza Cavour il pronunciato del Tribunale di Catania, nell'asserire che l'installazione del gazebo sul muro perimetrale non comprometteva l'utilizzazione dello stesso da parte degli altri condòmini né il decoro del fabbricato, aveva deciso la questione aderendo alla giurisprudenza di legittimità. Qualora un condomino agisce in giudizio contro altro condomino per conseguire l’ordine di rimozione di un gazebo realizzato sulle parti comuni, la liceità dell'opera va accertata in ragione della previsione espressa dall’articolo 1102 Codice civile (a mente del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a patto che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso). Nel caso in cui i limiti del pari uso della cosa comune siano stati travalicati dovranno essere provati dal condomino che agisce.
Richiama, poi, a sostegno un recente precedente (Cassazione 7870/2021) secondo cui la costruzione di una tettoia eseguita da un condomino, in appoggio al muro perimetrale condominiale, non lede le disposizioni che disciplinano l’uso del bene comune quando non rechi nocumento alle parti comuni e non pregiudichi la stabilità, sicurezza e decoro architettonico dell’edificio.
Definizione di gazebo
Val la pena rammentare che il gazebo è un manufatto di arredo destinato a spazi esterni. Privo di copertura fissa, è costituito da montanti verticali ed elementi di connessione atti a sostenere piante rampicanti. Il Consiglio di Stato (sentenza 306/2017) lo qualifica come struttura leggera perlopiù temporanea, Non è aderente ad altro immobile, è coperto nella parte superiore ed aperto nei lati. Realizzato con struttura portante in ferro battuto, alluminio o legno è talvolta chiuso da tende rimuovibili. Vi sono, tuttavia, gazebo realizzati in modo permanente per consentire una ottimale e costante fruizione degli spazi aperti (come i giardini e terrazzi). Essi, dunque, possono essere temporanei o durevoli e tanto basta a variare le conseguenze in tema di distanze.
Considerazioni conclusive
La pronuncia dianzi richiamata offre l'occasione per fermare qualche notazione. Non può sottacersi che il panorama giurisprudenziale sia costellato da innumerevoli decisioni che interessano la liceità o meno della posa in opera, perlopiù in àmbito condominiale su parti comuni o esclusive, di pergolati, pergotende, gazebi, verande, tettoie, pensiline, dehors nonché serre (o bussole) bioclimatiche. Le pronunce, delle quali gran parte delle fattispecie riguardano diatribe fra condòmini e condominio mentre altre fra soli condòmini, investono talora profili civilistici, talaltra urbanistici. Un esame analitico dei provvedimenti permette di comprendere i motivi delle continue oscillazioni, in specie per quanto attiene ai profili civilistici nei quali si intersecano frequentemente valutazioni urbanistiche, anch'esse non sempre costanti ed uniformi, rese dalla giurisprudenza amministrativa ed afferenti al concetto di costruzione (e relativo titolo abilitativo).
Invero, dalla affermazione o negazione del concetto di costruzione applicato a un determinato manufatto sovente scaturisce l'osservanza (o meno) di molteplici disposizioni civilistiche dettate in tema di distanze, opere innovative e clausole contrattuali contenute nei regolamenti di condominio. Tuttavia, non sempre tale criterio distintivo viene sposato dai decidenti. Tant'è che un orientamento ( tra le altre, Cassazione 5764/2004) ritiene che il lemma «costruire» (o «fabbricare»), richiamato dall'articolo 907 Codice civile in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, non riguarda esclusivamente i manufatti in calce e mattoni (o cemento) - quindi opere che presentano le caratteristiche di un edificio (o di una fabbrica in muratura) - ma comprende qualsiasi opera che rivesta caratteri stabili prescindendo dalla natura del materiale impiegato oltre che dalla forma, estensione e destinazione.
Sulle tende solari pronunce non univoche
La giurisprudenza in tema di tende solari è divisa: un filone le ritiene assimilabili a costruzioni, un altro nega in radice tale caratteristica. Le conseguenze in tema di distanze mutano in ragione del carattere costruttivo. L'articolo 907 Codice civile si applica anche alle tende parasole in quanto parte della giurisprudenza le qualifica nuove costruzioni. In ragione della conformazione, struttura, dimensione e materiali è idonea a ledere la sfera proprietaria altrui, in particolare il diritto di veduta in appiombo (è il caso della tenda solare realizzata dal condomino del piano sottostante in danno della veduta sovrastante).
La tenda da sole assume connotazione di costruzione quando viene ancorata stabilmente al muro perimetrale dell'edificio e posizionata al disotto della finestra del piano superiore. In tal caso, stante la sua durevole natura, verrebbe lesa permanentemente la veduta del condomino del piano sovrastante (Corte appello Firenze 1373/2010). Se, quindi, la tenda dista meno di tre metri dalla finestra sovrastante e la sua collocazione è proiettata in un arco temporale indeterminato, il diritto di veduta del condomino sovrastante si assume violato per cui il decidente ordinerà la rimozione. Non altrettanto se la tenda è retrattile perché, non potendo essere qualificata costruzione a causa della connotazione amovibile, non determina alcun nocumento permanente alla veduta (Cassazione 2873/1991).
I confini che individuano la esatta tipologia del manufatto sono spesso sottili, mutevoli, dilatabili e incerti per cui gli elaborati dei consulenti d‘ufficio e i responsi dei decidenti (che si fondano nella generalità dei casi sulle risultanze peritali) potrebbero rivelarsi erronei. Da cui la corsa ad appellare e ricorrere in Cassazione. Nei contesti condominiali le questioni sui manufatti da preservare (o rimuovere), proprio perché involgono apprezzabili comodità accessorie delle abitazioni difficilmente rinunciabili, sono oltremodo sentite. È evidente che il proliferare delle multiformi tipologie di manufatti (creati con le più svariate forme, dimensioni e materiali) può disorientare e ingannare tecnici d'ufficio e magistrati chiamati a vagliarne l'esatto inquadramento e la legittimità, specialmente nei contesti effervescenti come quelli condominiali.
Effettivamente i confini fra un manufatto e l'altro sono davvero labili. Anche per uno stesso manufatto possono profilarsi vari ventagli valutativi commisurati alle differenti caratteristiche. Sebbene la giurisprudenza amministrativa si sia sforzata di qualificare i variegati manufatti, permane il fatto che per un organo decidente potrà risultare lesivo mentre per un altro legittimo. Le multiformi caratteristiche favoriscono una pluralità di interpretazioni altalenanti. È chiaro che la continua discrepanza decisoria nuoce gravemente all'utente del servizio giustizia e ai patrocinatori i quali si vedono costretti ad operare in un regime disseminato di incertezze. Un rimedio si imporrebbe. Occorrerebbe un riordino legislativo delle varie tipologie, nessuna esclusa.
La necessità di fare chiarezza
Andrebbero poi identificate tutte quelle lesive e quelle legittime chiarendone con precisione le distinte modalità e circostanze. Si dovrebbero cristallizzare con esaustiva chiarezza i limiti, i divieti e i pregiudizi per ogni manufatto. Una normativa-faro per orientare gli operatori del diritto volta a limitare la discrezionalità interpretativa dei consulenti tecnici e dei decidenti. Solo così si restituirebbe certezza al diritto e si comprimerebbe l'incessante affastellamento di contenziosi.
L'emorragia degli ondeggiamenti decisori verrebbe frenata dal varo di un assetto normativo che riordini e ponga punti fermi incasellando una ad una le molteplici tipologie dei manufatti (consistenze, caratteristiche, volumi, estensioni, amovibilità, destinazioni, eccetera) in relazione al variegato ventaglio dei possibili pregiudizi civilistici e delle violazioni urbanistiche. Ciò contribuirebbe a ridurre in larga misura incresciosi errori valutativi ascrivibili all'insufficiente quadro normativo e ai contrasti giurisprudenziali.
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