Gestione Affitti

Non valida la clausola che impone all’affittuario di rinunciare all’indennità per perdita di avviamento

Per legge, il conduttore ha diritto a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto o a 21 mensilità se l’immobile è stato adibito ad attività alberghiera

di Edoardo Valentino

Al termine del contratto di locazione commerciale il conduttore, che con i suoi sforzi ha contribuito a creare un’attività all'interno dell'immobile affittato, ha diritto a percepire un'indennità per l'avviamento commerciale.
L'avviamento commerciale è quindi visto dall'ordinamento come una dotazione che il conduttore uscente lascia al proprietario dei muri e viene monetizzata tramite la corresponsione di un’indennità.

Cosa prevede la Legge equo canone

La norma fondamentale per comprendere la disciplina dell'avviamento commerciale è l'articolo 34 della legge numero 392/78 (la cosiddetta legge equo canone), che dispone che in caso di cessazione della locazione di un immobile adibito ad uso commerciale, turistico, industriale, sportivo o professionale, il conduttore abbia diritto a un'indennità pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto o a 21 mensilità se si tratta di attività alberghiera. Al comma successivo, poi, la legge stabilisce che, se a seguito del termine della locazione l'immobile viene adibito entro un anno ad attività analoga a quella precedentemente svolta, allora il proprietario deve corrispondere al conduttore un corrispettivo ulteriore e di ammontare pari alla somma già versata (18 mensilità di locazione, 21 in caso di attività alberghiera).

Il testo delle citate norme afferma infatti che «in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all’articolo 27, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 267/1942, il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai numeri 1) e 2) dell’articolo 27, a un’indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto e, per le attività alberghiere, pari a 21 mensilità. Il conduttore ha diritto ad un’ulteriore indennità pari all’importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente». Appare chiaro che, per il proprietario, tale contributo possa essere molto oneroso e viene da chiedersi se sia possibile per le parti accordarsi al fine di eliminare questo diritto o limitarlo con apposite previsioni contenute nel contratto di locazione.

I fatti di causa

A rispondere a questa domanda ci pensa la Cassazione, con la decisione numero 22826 del 21 luglio 2022. Nella questione giudicata, le parti avevano stabilito nel contratto di locazione che, al momento dell'uscita, la conduttrice avrebbe rinunciato a parte della somma dovuta a titolo di avviamento. In particolare, con riferimento alla norma citata, nel contratto le parti avevano esplicitamente riportato che la conduttrice avrebbe rinunciato a percepire la somma aggiuntiva prevista dal secondo comma dell'articolo 34 della legge equo canone (il corrispettivo dovuto se, a seguito dell'uscita dai locali, i muri vengono affittati ad attività affine). Il caso concreto si era svolto come segue: la conduttrice aveva cessato il rapporto locatizio e aveva riconsegnato i locali alla locatrice. A seguito della fuoriuscita della conduttrice dai locali, quindi, la proprietaria aveva corrisposto la somma dovuta per la perdita di avviamento, ma aveva rifiutato di versare la somma aggiuntiva dovuta in caso di locazione dei locali ad un’attività analoga a quella della locataria. Questa aveva deciso di agire giudizialmente per ottenere comunque il pagamento della somma.

Le pronunce di merito

All'esito del processo di primo grado il Tribunale aveva dichiarato la nullità della clausola e condannato la proprietà a pagare la somma alla conduttrice. Tale decisione era stata però riformata dalla Corte d'appello, che aveva riconosciuto la validità della clausola e il conseguente diniego del pagamento da parte della locatrice. La vicenda era quindi approdata in Cassazione a seguito di ricorso della parte conduttrice.

La decisione della Cassazione

Con la decisione in commento, gli Ermellini hanno cassato la sentenza di appello e sottolineato alcuni principi di diritto immobiliare sui quali vale la pena soffermarsi. Oggetto della decisione era infatti la rinunciabilità o meno, al momento della stipulazione del contratto di locazione ad uso non abitativo, di una o entrambe le indennità da perdita di avviamento previste dall'articolo 34 della legge equo canone. Secondo la Cassazione, la ragione della predetta norma era quella di costituire un limite alla autonomia contrattuale delle parti, stabilendo delle condizioni a favore della parte conduttrice, che normalmente è parte più debole nel contratto di locazione e deve sottostare alle condizioni della locatrice. Alla luce di tale principio, quindi, la Cassazione affermava la preminenza del disposto normativo dell'articolo 79 della citata legge. Tale norma prevede infatti al primo comma che «È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge».

Non sono vietati accordi economici collaterali al contratto

L'articolo 79 ha come effetto di comportare la radicale nullità di ogni singola clausola contrattuale che preveda uno squilibrio del contratto di locazione in favore del proprietario. Secondo la Cassazione, quindi, stabilire contrattualmente la rinuncia alla futura ed eventuale somma dovuta a titolo di avviamento (o di locazione ad attività affine) costituiva un vantaggio illegittimo per il proprietario e, come tale, nullo. Attenzione però: tale disposizione comporta la nullità della pattuizione laddove stabilita all'interno del contratto di locazione, ma nulla vieta alle parti di fare accordi economici di qualsiasi tipo a seguito del contratto di locazione, e quindi quando il rapporto tra le parti è tornato prima e il naturale “vantaggio” dato dalla posizione dominante del proprietario si è annullato (così anche in Cassazione, terza sezione, 115373/2018). Come conseguenza della nullità della succitata clausola contrattuale, quindi, la Cassazione annullava l'impugnata sentenza della Corte d'appello e rinviava il giudizio per una nuova valutazione sul merito.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©