Condominio

Per chi parcheggia male in condominio, scatta il reato di violenza privata

Il reato è configurabile anche se si causa semplice disagio agli altri condòmini mentre non occorre impedirne del tutto il transito

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di Ivan Meo e Roberto Rizzo

Il parcheggio della propria auto in condominio con modalità tali da rendere agli altri utenti anche semplicemente scomodo o disagevole l'ingresso e la manovra all'interno della corte comune, integra una condotta violenta tale da far rischiare, a colui che la integra, la condanna per il reato di violenza privata, ai sensi dell'articolo 610 del Codice penale. In casi simili, infatti, il requisito della violenza, a causa della formulazione piuttosto ampia della norma, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione la persona offesa, la quale è dunque costretta a fare, tollerare od omettere qualcosa contro la propria volontà.

La vicenda processuale

Questi i principi di diritto ribaditi dalla quinta sezione penale della Cassazione, nella recentissima pronuncia numero 27559 del 26 giugno 2023 con la quale, in parziale riforma della sentenza emessa in data 17 dicembre 2021 dalla Corte d'appello di Trento, è stato definitivamente respinto il ricorso di un condòmino già condannato, in entrambi i precedenti gradi di giudizio, per aver parcheggiato l’autovettura lungo la strada di accesso al condominio, così da impedire il passaggio degli altri autoveicoli e da costringere i residenti a tollerare, o meglio a subire, l’impossibilità di raggiungere la loro abitazione con i rispettivi veicoli dì proprietà.

La rilevanza penale della condotta illecita

La Cassazione, con un elaborato ragionamento nel quale vengono affrontati anche ulteriori motivi di ricorso non oggetto d'analisi in questa sede, ha ribadito, rispetto al profilo della violenza privata, come gli estremi della condotta censurabile siano integrati ogniqualvolta il processo di libera determinazione della volontà della persona offesa sia influenzato in modo tanto significativo, da indurla a un comportamento altro e differente rispetto a quello che, in assenza dei condizionamenti posti in essere dall'agente, avrebbe verosimilmente tenuto in piena libertà.

Pertanto, osserva la Corte, il delitto di violenza privata deve ritenersi sussistente quando la condotta di colui che parcheggia la propria autovettura dinanzi ad un edificio, e, nella specie nello spazio condominiale funzionalmente destinato al transito, alla sosta ed al parcheggio dei veicoli degli altri condòmini, o dei mezzi di soccorso, sia tale da ostacolare, o rendere difficoltoso, il passaggio altrui, impedendo l’accesso alla parte lesa, o comunque limitandone il movimento (Cassazione 1913/18).

La portata generale del dettato codicistico

Inoltre, aggiungono gli ermellini, proprio per la formulazione testuale dell'articolo 610 del Codice penale, che è norma caratterizzata da indeterminatezza e genericità della condotta prevista e punita, non si richiede che la persona offesa si trovi, per effetto dell'altrui censurabile contegno, nell'impossibilità assoluta di esercitare il proprio diritto, essendo, viceversa, sufficiente una difficoltà indotta, che sia tale da determinarne, in senso limitativo, la libera volizione.In questo senso, infatti, e in relazione a fattispecie analoga indicata come precedente vincolante, è stato ritenuto configurabile il reato di violenza privata anche per punire la condotta di colui che, azionando a distanza il meccanismo elettronico di blocco di un cancello automatico, impediva alla persona offesa di uscire con la propria autovettura dalla zona garage del condominio (Cassazione 46786/14).

La natura del bene giuridico tutelato

Se, infine, conclude la Suprema corte, il bene tutelato dalla norma incriminatrice è la libertà morale, intesa come possibilità di autodeterminarsi spontaneamente, deriva da tale assunto che, non solo la perdita, ma anche la riduzione significativa della possibilità di determinarsi e di agire secondo la propria volontà integra il delitto di violenza privata.Sulla scorta di queste considerazioni, dunque, non può trovare accoglimento l'impianto argomentativo del ricorrente, il quale proprio sulla tenuità della compressione dell'altrui diritto, realizzata dalla propria condotta, aveva incentrato l'intera linea difensiva.Ricorso rigettato, dunque, e, sul punto, condanna integrale del ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e di tremila euro in favore della cassa ammende.

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