Rendiconto senza tabelle millesimali valide: sì all’opposizione di un condomino a decreto ingiuntivo
Condannato perciò un condominio che si era per la seconda volta rivolto in Cassazione
Riguarda un duplice ricorso in Cassazione la vicenda relativa al pagamento di spese condominiali decisa in sede definitiva dalla sentenza della Suprema corte 16340 del 30 luglio 2020.
I fatti
A rivolgersi alla Cassazione per la seconda volta un condominio romano per chiedere la cassazione di una pronuncia della Corte d’appello di Roma che aveva confermato la fondatezza delle ragioni di un condomino rispetto all’opposizione ad un decreto ingiuntivo per il pagamento di spese relative allo stabile. Il condomino non aveva svolto alcuna attività difensiva in questo nuovo ricorso in sede di legittimità.
L’intimato, era forte dell’accoglimento già in primo grado della sua opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di contributi condominiali sulla base di rendiconto approvato dall’assemblea in assenza di valide tabelle millesimali. Anche in appello il condominio era risultato soccombente, la Cassazione però con la sentenza 1546/2016 aveva affermato che «pur se pacifica l’assenza di una valida ed approvata tabella di riparto delle spese» il giudice di merito avrebbe dovuto «verificare l’esistenza, validità ed efficacia della delibera assembleare in conformità del valore delle singole posizioni condominiali».
Il principio richiamato nella prima pronuncia di legittimità
La Cassazione intendeva riaffermare il principio secondo il quale «in tema di riparto di spese condominiali, qualora non possa farsi riferimento ad una tabella millesimale approvata da tutti i condomini, il singolo condomino non possa sottrarsi al pagamento della quota, spettando al giudice di stabilire se la pretesa del condominio sia conforme ai criteri di ripartizione da fissare con riguardo ai valori delle singole quote di proprietà».
Le ragioni del nuovo ricorso
Tornato in appello, però il giudizio non era proseguito perchè non erano stati prodotti i fascicoli delle precedenti pronunce. Da qui la decisione del condominio di tornare in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli articoli 165, 166, 169, 345 e 347 Codice procedura civile, assumendo un onere di acquisizione da parte dei giudici della documentazione prodotta nelle diverse fasi del giudizio di opposizione.
Il giudizio di rinvio in appello e la relativa documentazione
La Cassazione nel respingere la richiesta ha richiamato il principio enunciato dalle sezioni Unite con pronuncia 14475/2015 secondo il quale è onere delle parti allegare il fascicolo d’ufficio. Nel sistema processuale infatti, il giudizio di rinvio in appello appare come un processo chiuso, il cui ambito resta circoscritto alle parti cassate della sentenza d’appello.
L’articolo 394 Codice procedura civile, reintegra dunque le parti nella stessa posizione che avevano nel giudizio di appello definito con la sentenza cassata, vietando di formulare nuove conclusioni e perciò anche l’introduzione di nuove prove e nuovi documenti. E se l’appellante viene reintegrato nella stessa posizione è suo onore produrre o ripristinare in appello, se già prodotti in primo grado , i documenti su cui basava il proprio assunto, attivandosi per produrli in giudizio (Cassazione 1462/2013; Cassazione 3033/2013; Cassazione 11797/2016) .
I fascicoli di parte dopo il primo grado
Pertanto il condominio era tenuto a produrre la documentazione anche perchè è pacifico che, concluso il giudizio di primo grado, i fascicoli delle parti sono ritirati dalle parti stesse ed è esclusa la trasmissione d’ufficio alla cancelleria del giudice d’appello (Cassazione 78/2007; Cassazione 8528/2006; Cassazione 12351/2004; Cassazione 5061/1993).
Pertanto il ricorso del condominio deve ritenersi inammissibile non avendo il condominio stesso indicato quali documenti fossero stati prodotti nei giudizi di merito, nè se gli stessi fossero rimasti della sfera di cognizione del giudice.