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Usucapione bene comune: va provato che se ne goda in modo inconciliabile con il potenziale godimento altrui

Non può considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune

di Rosario Dolce

La Cassazione, con la sentenza 20144 del 22 giugno 2022, risponde alla domanda relativa alla possibilità di usucapire un bene comune , offrendo, in modo puntuale, la ricostruzione dell'orientamento giurisprudenziale utile in ambito condominiale.

I fatti di causa

Il caso, come uno dei tanti, consta del ricorso in giudizio da parte di un condòmino che assumeva di aver occupato, in via pacifica ed esclusiva una porzione della corte condominiale, tanto da averla usucapita, per cui chiede pronunciarsi nei confronti degli aventi diritto una pronuncia dichiarativa. Purtroppo per il ricorrente - nonostante le prove orali e documentali offerte in comunicazione nel corso del lungo procedimento giudiziario - le corti di merito, in primo e secondo grado, hanno ritenuto non raggiunto il livello di prova occorrente per la dimostrazione incontrovertibile dei presupposti per potersi invocare giudizialmente l'usucapione, per cui lo stesso, ritenendo di aver subito una ingiustizia, legata alla mancata ponderata valutazione del compendio probatorio offerto in comunicazione, ovvero collegata alla violazione dell'onere probatorio di cui all'articolo 2697 Codice civile, ha chiesto ai giudici di legittimità di cassare il provvedimento impugnato.

Le ragioni della Suprema corte

Orbene, gli ermellini con il provvedimento in commento, non riscontrano nulla di anomalo nella sentenza oggetto di gravame, e, anzi, colgono l'occasione per ricordare quali sono i presupposti fattuali e giuridici utili per poter accampare contro il condominio una pretesa giudiziaria di usucapione delle parti comuni dell'edificio di cui esso consta.Esaminiamo nel dettaglio, allora, l'argomentazione spesa sul tema.In primo luogo, i giudici del palazzaccio richiamano l'insegnamento alla cui stregua l'usucapione del bene comune da parte di uno dei comproprietari postula che il medesimo «goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere come dominus e non più come condominus, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune» (così, Cassazione civile 2781/17).

Da valutare gli atti concreti compiuti

Gli atti compiuti dal condòmino che adduce di aver usucapito il bene comune – così prosegue, per concludere, il provvedimento – devono essere, dunque, «obiettivamente inconciliabili», in modo “univoco”, con la fruizione del bene da parte degli altri condòmini, ovvero devono essere «particolarmente qualificati» (in punto viene richiamato il procedente costituito dall'ordinanza 11903/2015, per cui nella comunione gli atti devono realizzare l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale del bene comune).

In questi termini, la “prova orale” offerta dal ricorrente è stata ritenuta, più che astrattamente, inidonea a supportare il livello di certezza richiesto dall'orientamento giurisprudenziale in considerazione, seppure si sia precisato come, in realtà, neppure il giudice di legittimità sia in grado di valutare nuovamente la portata del compendio probatorio raccolto in corso di causa: il quale risulta censurabile in Cassazione solo con il mezzo di cui all'articolo 360 numero 5 Codice procedura civile (e segnatamente: «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»).