Condominio

Adibire un immobile ad attività commerciale è legittimo solo se consentito dal regolamento dello stabile

Se, al contrario, vi sono clausole che lo vietano, è necessario siano trascritte nel rogito per essere valide

di Giulio Benedetti

La convivenza nel condominio tra gli appartamenti e gli esercizi commerciali è permessa solo se il regolamento condominiale lo consente, a condizione che lo stesso sia stato trascritto negli atti di compravendita delle singole unità abitative.

Il caso

I proprietari di alcuni appartamenti citavano in giudizio il titolare di un esercizio di pasticceria, sito all'interno di un condominio, per fare cessare la sua attività e rimuovere la canna fumaria, le tubature apposte all'interno delle parti comuni, un cancello, le opere realizzate per adattare gli ambienti all'attività. Gli attori affermavano che tale esercizio commerciale era vietato dal regolamento condominiale che impediva di adibire le proprietà individuali ad attività artigianali e compiere le opere realizzate. Il Tribunale accoglieva la domanda degli attori e il ricorso avverso la sentenza era respinto dalla Corte di appello che, sostenendo la natura contrattuale del regolamento, escludeva, nel condominio, l'esercizio di negozi ed attività artigianali e condannava il convenuto a cessare l'attività e a rimuovere le opere funzionali.

La decisione della Corte di Cassazione

Il giudice di legittimità, nella sentenza 24526/2022, affermava i seguenti principi:

1) le limitazioni all'uso delle parti di proprietà individuale contenute nel regolamento contrattuale sono efficaci solo se sono l'espressione dell'accordo di tutti i condòmini. Il regolamento è contrattuale e può limitare l'uso delle parti private se è predisposto dall'originario proprietario dell'edificio condominiale ed è allegato ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari o è stato adottato con la deliberazione unanime di tutti i condòmini. Detto regolamento contrattuale può essere modificato solo dall'unanimità dei condòmini;

2) Il regolamento, invece, può disciplinare l'uso delle parti comuni e può essere modificato con una delibera assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'articolo 1136, secondo comma, Codice civile (Cassazione, Sezioni unite, sentenza numero 943/1999);

3) Le norme del regolamento non possono menomare i diritti di ciascun condòmino, quali risultano dagli atti d'acquisto e dalle convenzioni, e non possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119,1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137, quarto comma del Codice civile;

4) Le clausole limitative delle parti private, contenute nel regolamento, devono essere riprodotte all'interno dell'atto di acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente il semplice rinvio al regolamento stesso;

5) Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, che limitano le facoltà dei proprietari di adibire il loro immobile a certe destinazioni, sono servitù reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare e sono soggette, ai fini dell'opponibilità, alla trascrizione, ai sensi degli articoli 2643 e 2659 del Codice civile.

La Corte di Cassazione affermava che la sentenza della Corte di appello non ha accertato se il convenuto ha acquistato il suo immobile dal costruttore o da un precedente condomino, per stabilire se dette limitazioni all'uso della sua parte privata, non contenute nell'atto stesso di vendita, siano state trascritte contro detta proprietà, in data anteriore all'acquisto. Dalla risoluzione di tale quesito sulla legittimità dell'esercizio dell'attività artigianale, dipende anche la decisione sulla condanna a rimuovere tutte le opere realizzate per il suo esercizio. Pertanto, la Suprema corte annullava la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione, che deve provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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