Casa, l’addio progressivo al superbonus incompatibile con gli obiettivi green della Ue
Gli obblighi europei marciano in una direzione, mentre il Governo cammina in quella opposta. I nuovi obiettivi ipotizzati dalla direttiva europea sulle case green (classe energetica E al 2030 per gli immobili residenziali, e poi classe D) rischiano di essere irraggiungibili per l’Italia. Impossibile farcela in questi tempi e senza una politica di agevolazioni adeguate e di lungo periodo: lo ha sottolineato anche l’Ance, attraverso la sua presidente, Federica Brancaccio (si veda Il Sole 24 Ore del 15 gennaio).
Così, analizzando la questione dal lato delle agevolazioni per le ristrutturazioni, l’abbandono progressivo del superbonus mette, già in partenza, una pesante ipoteca, in negativo, su questi obiettivi.
Partiamo dalla situazione del parco immobiliare italiano. La fotografia degli attestati di prestazione energetica dice che nel 2021 il 34% degli immobili era in classe G, il 23,8% in classe F e il 15,9% in classe E. Le classi più efficienti (dalla D alla A) pesano per circa il 26% del totale. Insomma, più di metà del patrimonio immobiliare (classi G ed F) andrebbe ristrutturato entro il 2030. Numeri altissimi, se pensiamo che queste misure riguardano 12,2 milioni di edifici residenziali oggi presenti in tutto il paese, in base ai dati Istat riportati dall’Ance.
Quello che servirà, nella pratica, è qualcosa di molto vicino a quanto avvenuto con il superbonus nel 2021 e nel 2022: una ristrutturazione che consenta agli immobili di fare un salto di classe almeno doppio, portandosi ai gradini più alti della classificazione energetica. Ma quali lavori sono serviti a garantire questo miglioramento di prestazione?
Le statistiche dell’Enea lo dicono abbastanza chiaramente. Il report 2021 sulle detrazioni fiscali ha, infatti, messo in fila il dettaglio dei lavori più agevolati con il superbonus. In altre parole: quali sono state le soluzioni più utilizzate da progettisti e imprese per ottenere il miglioramento, richiesto dalla legge, di almeno due classi di efficienza energetica.
A dominare, in termini di quantità degli interventi, sono stati i lavori di rifacimento dell’involucro: il 26% degli investimenti ha riguardato le pareti verticali (il cosiddetto cappotto termico), il 18% la sostituzione degli infissi e l’8% la coibentazione di soffitti e tetti. Subito dietro c’è il fotovoltaico (un altro 8%) con i sistemi di accumulo (7,5% circa). L’intervento sugli impianti più consistente in termini di investimenti è, invece, costituito dai sistemi ibridi (caldaia a condensazione + pompa di calore, con poco meno dell’8% di investimenti), seguono le pompe di calore (5,5%) e le caldaie a condensazione (3,66%). Quindi, anche se gli impianti sono stati centrali nella geografia del superbonus, l’intervento preferito è stato il cappotto termico.
Proprio il cappotto termico e, in generale, tutti i lavori sull’involucro, così importanti per l’efficienza energetica degli edifici, rischiano di diventare parecchio più marginali nella nuova mappa delle agevolazioni disegnata dal Governo. Al momento, infatti, a partire dal 2024 il superbonus avrà la percentuale meno vantaggiosa del 70%, molto simile all’attuale livello dell’ecobonus per lavori pesanti (70-75%).
La storia recente dei bonus casa, però, dice che con questi livelli di sconto fiscale la tendenza è a preferire ristrutturazioni meno pesanti. Basta guardare ancora l’ultimo report Enea sulle detrazioni fiscali e le diverse voci di intervento attivate dall’ecobonus tra il 2014 e il 2020, quando non c’era ancora il 110 per cento.
In testa agli investimenti (con 10 miliardi) c’era la sostituzione di serramenti, al secondo posto (con 4 miliardi) le caldaie a condensazione e, poco dietro, i lavori su pareti orizzontali (3,3 miliardi) e pareti verticali (2,6 miliardi). Con quel sistema di incentivi (oggi il superbonus convive con l’ecobonus), insomma, si preferivano i lavori di impatto più limitato che, da soli, difficilmente possono garantire un miglioramento di classe energetica dell’edificio rilevante come quello chiesto dalla Ue.
Per vedere questo effetto di redistribuzione degli investimenti, comunque, probabilmente non ci sarà da attendere il 2024. Già oggi, infatti, il superbonus al 90% sembra molto meno appetibile del suo fratello maggiore al 110%: per le unifamiliari, infatti, i requisiti richiesti dalla legge limiteranno molto l’accesso alle agevolazioni; per i condomìni sarà molto difficile avviare nuove operazioni, con lo spetto della tagliola di fine 2023 (quando gli incentivi scenderanno al 70%) e con il mercato della cessione dei crediti ancora fermo.
Le «case di ringhiera» ambrosiane, emblema di una tipologia edilizia popolare
di Fulvio Pironti - Avvocato condominialista