Condominio

Case green, allarme in condominio per costi e impatto sulle quotazioni

di Annarita D’Ambrosio

La doppia stretta prevista dalla direttiva Ue in discussione sulle case green impatta sui condomìni italiani in maniera pesante, in un periodo in cui il superbonus è ridimensionato e i rincari energetici hanno già messo in difficoltà gli italiani. L’obbligo di passaggio alla classe energetica E per tutti gli immobili residenziali dei 27 Paesi membri entro il 2030 (e alla classe D prima del 2033) preoccupa soprattutto in Italia dove la gran parte degli stabili è in classe G, la più bassa.

Il relatore alla direttiva sull’efficienza energetica, Ciarán Cuffe, ha dichiarato al Sole 24 Ore (pagina 6 del 17 gennaio) che non si intende introdurre un limite a vendita e affitto d’immobili inquinanti, ma nulla consente di escludere che le compravendite subiscano conseguenze. A direttiva approvata, in caso di classificazione bassa comprovata dall’Ape, il certificato di prestazione energetica, obbligatorio dal 1° luglio 2009 in caso di compravendita e dal 1° luglio 2010 in caso di locazione, l’acquirente dell’immobile infatti risulterebbe comunque obbligato ad effettuare lavori di adeguamento energetico e questo avrà una incidenza sul prezzo dell’immobile. Le associazioni degli amministratori condominiali sono concordi nel sostenere la battaglia intrapresa dal Governo italiano all’Europarlamento.

«I tempi dell’Unione europea non sono quelli italiani, perchè il nostro è un contesto particolare» conferma il presidente Anaci, l’Associazione nazionale amministratori condominiali e immobiliari, Francesco Burrelli. « I nostri condomìni – aggiunge – sono stati edificati a inizio Novecento per la gran parte con nessuna regola, né in termini di sicurezza, né di risparmio energetico. La prima normativa è la 373/1976 che ha introdotto misure per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici. Per parlare di sostenibilità invece dobbiamo spingerci ancora avanti – prosegue il presidente Anaci – riferendoci alla direttiva 2002/91/CE del 16 dicembre sul rendimento energetico nell’edilizia».

La priorità del nostro patrimonio è la sicurezza – ribadisce Burrelli – precisando che «vanno stanziati fondi per mettere in sicurezza gli edifici dal punto di vista statico e contestualmente intervenire dal punto di vista energetico. In sede di recepimento della direttiva in discussione valuteremo ma i tempi previsti sono incompatibili con un momento di difficoltà economica evidente per i condòmini, molti dei quali – non va dimenticato – è gravato da un mutuo per l’acquisto dell’appartamento decennale o ventennale».

Intento lodevole della direttiva, attuazione pratica impossibile concorda Confabitare, il cui presidente del Centro studi Luca Capodiferro precisa: «in Europa ci sono due diversi «mondi» immobiliari, quello latino, dove prevale la proprietà della casa (non solo costruita magari con fatica, ma anche ereditata), e quello dei paesi del nord, dove la maggior parte delle persone vive in affitto. Passare dalla classe energetica E a quella D vuol dire abbattere i consumi di almeno il 25%. Come? Con interventi non del tutto «indolori» dal punto di vista del costo: cappotto termico, sostituzione degli infissi, installazione di caldaie a condensazione».

La preoccupazione del presidente Anapi Vittorio Fusco «è indirizzata alla categoria degli amministratori di condominio i quali, ancora una volta, si troverebbero a dover fronteggiare situazioni che via via stanno diventando sempre più problematiche, basti pensare a quelle legate alla gestione di condòmini che per svariati motivi non intendono deliberare i lavori oppure alle situazioni in cui gli interventi richiesti non possono essere materialmente realizzati, senza tralasciare le problematiche che sorgerebbero con le imprese che già oggi evidenziano molte difficoltà nel reperimento di materie prime e manodopera».

Di approccio sbagliato parla il presidente Anammi, Giuseppe Bica: «Soprattutto dopo le disavventure del superbonus, che ancora non si sono concluse e che hanno messo in seria difficoltà condòmini ed imprese. Se l’Europa vuole davvero aiutarci a ridurre emissioni e costi energetici, deve pensare ad un piano di incentivi ben articolato, ritagliato sulle caratteristiche del singolo Paese. Non si può pensare ad una ricetta valida per tutti».

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