Case green in edifici storici, soluzioni innovative in presenza di vincoli
La direttiva Ue come occasione per un ripensamento culturale sul come efficientare il patrimonio costruito, per spingere la ricerca e per una nuova politica industriale sulla casa.
Luigi La Rocca direttore generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e direttore Soprintendenza Speciale per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, interviene nel dibattito con riferimento al ricco patrimonio italiano, a quello privato vincolato e a quello pubblico con più di 70 anni, sottolineando che «su questi temi l’amministrazione dei beni culturali, facendo i conti con la crisi energetica, è aperta al confronto. Sicuramente impensabile la sostituzione edilizia; non è consentito il cappotto termico su beni vincolati, ma non ci è nemmeno mai stato chiesto - il commento del direttore generale -, ma sul fotovoltaico, ad esempio, ci sono diverse sperimentazioni in atto, si pensi alle tegole, alle pellicole, che sono state inserite anche a Pompei ed Ercolano». L’attenzione al paesaggio rimane massima, «non c’è una chiusura ideologica e preconcetta – dice La Rocca – ma si deve valutare caso per caso, come si fa in tutti i progetti di restauro. Questa è un’occasione per sviluppare nuove tecnologie e fare in modo che si usino materiali che riducono al minimo l’impatto e favoriscano la mitigazione».
Una partita sfidante quindi, e non solo una battaglia da fare anche secondo Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare: «L’Italia come tanti altri paesi ha le sue specificità», il riferimento è ai tanti vincoli culturali, storici e ambientali che la caratterizzano, «ma l’innovazione tecnologica sta dando risposte a puntuali a questioni che negli anni passati hanno frenato il binomio efficienza e cura del patrimonio storico». Il nodo per gli operatori del mercato immobiliare rimane quello dell’incentivo alla sostituzione edilizia, «non sono sufficienti meccanismi a macchia di leopardo come è stato il Superbonus, la demolizione e ricostruzione in tanti contesti è la strada, come accade già in altri Paesi. E non mancano storie di successo di interventi di rigenerazione – racconta la Rovere – dove si costruiscono edifici-polmone con tutte le caratteristiche che la direttiva Ue andrà a prescrivere, in termini di efficienza energetica ma anche di sostenibilità economica e sociale, dove le persone potranno abitare in attesa della rigenerazione degli immobili nei quali vivono».
Rovere spinge sull’urgenza di una politica industriale della casa, su quella di dedicarsi attivamente alla rigenerazione urbana, oltre le parole, sulla richiesta di una visione politica che consideri il Paese, che non è solo quello dei centri storici delle città d’arte da Venezia a Napoli passando per Firenze e Roma, ma è l’Italia con le sue mille declinazioni. «Come nell’automotive non basta cambiare una marmitta per efficientare l’auto, la transizione ecologica passa per l’auto elettrica, così si deve fare nell’industria del real estate e delle costruzioni. Serve un salto culturale. E i costi devono poter essere compensanti da un intervento pubblico, come hanno fatto ad esempio altre città come Parigi, investendo sulle linee metropolitane che raggiungono le banlieue. Servizi e infrastrutture sono il presupposto per l’investimento del capitale privato».
Vincoli storici e ambientali, ma soprattutto culturali sono un freno a mano in Italia. Ma le politiche per l’adattamento climatico e per il contrasto alla crisi energetica hanno tempi stretti. Rovere guarda con interesse alle ex aree industriali, alle ex caserme, ai grandi complessi che possono incidere nella trasformazione urbana. E se la direttiva Ue fosse quella che aiuterà a rigenerare una volta per tutte le periferie?
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