Condominio

Condominio minimo: risarcite le violazioni alla comunione solo se il danno è provato

di Edoardo Valentino

Il danno causato dalle condotte dei vicini – anche in accordo alla recente giurisprudenza – deve essere provato per dare luogo a un risarcimento. Questo il principio pronunciato dalla sentenza Tribunale di Bergamo del 25 gennaio 2019, numero 231 .
Nel caso in oggetto gli attori e i convenuti erano condomini di un c.d. condominio minimo, ossia un condominio formato da due unità immobiliari e parti comuni alle stesse legate con un vincolo di strumentalità.
Gli attori, in particolare, lamentavano come alcune condotte tenute dai convenuti avessero violato gli articoli 1102 e 1117 C.c.
Tali norme prevedono che “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa” (art. 1102 comma I C.c.) e le parti comuni del condominio (descritte invece nell'art. 1117 C.c.).
I condomini attori lamentavano come i convenuti avessero effettuato degli interventi volti a migliorare la propria proprietà tali da coinvolgere anche parti comuni dell'edificio, con un utilizzo idiosincratico ed esclusivo delle stesse incompatibile con le norme sopra citate.
Nel merito i convenuti avevano, tra le altre cose, utilizzato il giardino per accatastare la propria scorta di legname, piastrellato delle aree del prato comune, costruito delle ringhiere e un cancello nella scala comune e costruito e mantenuto un camino in un basso fabbricato di loro proprietà che aveva emesso esalazioni in danno dei vicini.
Il giudice in questione, al fine di decidere sulla legittimità dei comportamenti dei convenuti, aveva tenuto presente il principio in ragione del quale l'uso anche più intenso della cosa comune è legittimo purché questo non sia fatto in danno al vicino, limitando allo stesso un uso paritetico.
Gli elementi chiave, quindi, erano la possibilità di fare un uso paritetico del bene (e non quindi identico) da parte dei vicini e l'assenza di definitive mutazioni/alterazioni sulla cosa comune.
Alla luce di questi principi il Tribunale aveva giudicato le azioni dei convenuti come in parte legittime e in parte illegittime.
Legittime erano infatti sia il piastrellamento del prato antistante il palazzo (in quanto considerato un miglioramento della cosa comune) e l'apposizione della ringhiera e del cancello (dato il cancello era aperto e non impediva agli attori di accedere alle scale).
Di contro, il decidente aveva reputato che fossero illegittime le esalazioni provenienti dal camino e l'occupazione di parte del giardino con la scorta di legname dei convenuti.
Ciò detto, tuttavia, il Tribunale aveva operato una importante distinzione per quanto riguardava il risarcimento dei danni prodotti dalle condotte dei convenuti.
Quanto alle esalazioni del camino, queste erano state ritenute risarcibili in quanto danno non patrimoniale attinente al pregiudizio alla salute degli attori.
A causa delle esalazioni, infatti, questi si erano addirittura visti violare il diritto all'inviolabilità del proprio domicilio, sancito dall'articolo 14 della Costituzione ed avevano quindi diritto ad un risarcimento.
Diversamente, per quanto riguardava l'occupazione del giardino con il legname, il Giudice aveva ricordato come non sia più accoglibile il concetto di “danno in re ipsa” ossia di danno identificato con l'evento dannoso stesso.
Secondo il giudice, difatti, ciò che deve rilevare ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, ossia quel danno che deve essere allegato e provato, e che non può essere punitivo se non in caso di sua esplicita previsione normativa, in accordo all'art. 23 Cost. (così anche Cass. SSUU, 26972/2008 e Cass. 16601/2017).
Nel caso in concreto, gli attori non avevano dato prova concreta di alcun pregiudizio conseguente all'illegittima occupazione del giardino con il legname da parte dei convenuti e di conseguenza tale richiesta risarcitoria doveva essere respinta.
Il Tribunale aveva quindi affermato che “Il danno da occupazione sine titulo in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, e dunque del danno conseguenza effettivamente patito a causa del fatto illecito”.

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