Condominio

Furto dal conto corrente del condominio: va provata la negligenza nella conservazione del pin del bancomat

È ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi

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di Fabrizio Plagenza


L'articolo 1129 del Codice civile, così come riformato dalla legge 220/2012, impone all’amministratore di far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio. Il conto corrente, oltre che l'utilizzo in cassa o con canali di home banking, può, ovviamente, prevedere l'utilizzo delle somme mediante bancomat a cui è associato un pin. La conservazione del pin del bancomat legato al conto corrente condominiale, ovviamente, spetta all'amministratore del condominio.

Cosa accade se ignoti, fraudolentemente, carpiscono il pin e pongano in essere prelievi in danno del condominio ? Se ne è occupato il Tribunale di Velletri, con una sentenza molto interessante sia per i contenuti giurisprudenziali che per i principi espressi nonché, da ultimo, per le sanzioni addebitate. Facciamo riferimento alla sentenza 1202 pubblicata in data 8 giugno 2022 dal Tribunale di Velletri.

I fatti di causa

Un condominio citava in giudizio l'istituto ove aveva attivo un conto corrente condominiale, lamentando il fatto di aver subito fraudolentemente ad opera di ignoti, prelievi risultati effettuati attraverso l'utilizzo del bancomat. Sosteneva la responsabilità dell'istituto, per aver omesso quest'ultimo di adottare propri sistemi di sicurezza, sufficientemente idonei a tutelare i correntisti. Il Tribunale di Velletri, affrontando un argomento tanto delicato quanto attuale, ricorda come l'istituto, sia esso bancario che postale, «è un mandatario qualificato e come tale su di esso gravano tutti gli oneri di garantire la massima sicurezza nei confronti di coloro che si rivolgono presso i propri enti intermediari».

Ed infatti, sul punto al di là della responsabilità della banca quale mandatario qualificato vi è giurisprudenza anche recentissima della Suprema corte che condanna la banca al ristoro dei danni ed alla restituzione integrale delle somme al correntista ed in questo caso ai correntisti (Cassazione ordinanza 9721/2020) per le «operazioni truffaldine ed abusive poste in essere da terzi a seguito di furto bancomat». Nel caso di specie, i correntisti avevano subito un furto e «la banca o intermediario finanziario non può sollevare eccezioni infondate di omessa custodia del pin secondo un proprio regolamento interno mai sottoscritto nelle forme previste dalla legge dai correntisti, in quanto comunque esso istituto non ha adottato alcuna idonea misura di sicurezza come ampiamente argomentato sopra».

La prova della negligenza del correntista

In particolare, inoltre, alla luce di un consolidato ed autorevole orientamento giurisprudenziale in materia, «nel caso di uso illegittimo di una tessera bancomat, la società di servizi o banca che eccepisca la colpa concorrente del titolare per difettosa custodia del codice personale, ha l'onere di provare concretamente tale negligenza, la quale non può ritenersi in re ipsa per il solo fatto che una tessera bancomat, dopo il furto, sia stata utilizzata per prelevare facendo uso del pin».Per di più, in assenza di un quadro probatorio che porti ad escludere l'impossibilità di ottenere il pin a mezzo di strumenti fraudolenti, «si deve concludere che il cliente si sia comportato correttamente e che il pin sia stato carpito da soggetti terzi o dal sistema da parte di colui che ha sottratto la tessera o in concorrenza di qualcuno all'interno, che abbia agevolato l’azione fraudolenta».

La Suprema corte, ha infine recentemente statuito che è del tutto «ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo». (Cassazione 2950/2017).Del resto, la giurisprudenza del Tribunale di Roma in tempi assai più lontani nel tempo ha ritenuto possibile ricavare illecitamente il pin necessario per effettuare prelievi dal contro corrente altrui. Ed infatti, «la diligenza posta a carico dell'istituto bancario ha natura tecnica e deve essere valutata, ai sensi dell'articolo 1176 comma 2 Codice civile», tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell'accorto banchiere : «spetta pertanto all'intermediario bancario provare di aver adottato tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni». ( Cassazione 2016 806/2016 ).

Escluse le prove presuntive

La sentenza in commento ricorda inoltre gli orientamenti favorevoli ai correntisti, sia con provvedimenti emessi dall'Arbitro bancario finanziario (Abf), che dai giudici di merito e della stessa Suprema corte, a favore dei clienti derubati, «non potendosi presumere che il furto, e il successivo prelievo dal conto, siano sempre la diretta conseguenza dell'incuria, da parte del titolare, nella conservazione delle carte e del pin, essendo comunque necessaria una prova concreta in tal senso fornita dalla banca, con netta esclusione di prove presuntive» (Giudice di pace, Milano, sentenza 12057/2015).

Nel caso trattato dal Tribunale di Velletri, il convenuto, in tal senso, aveva invertito l'onere della prova «cercando di addossare la prova della omessa custodia in carico all'attore, ma è il convenuto che deve dimostrare che l'attore ha omesso di custodire erroneamente il pin e oggetto di furto e, conseguentemente, di aver adottato ogni misura idonea a evitare intrusione o manomissione o prelievi da parte di terzi abusivi, cosa che non ha assolutamente fatto».

La temerarietà della lite

Inoltre, per quanto emerge dalla lettura della sentenza 1202/2022, il convenuto non aveva ottemperato all'ordine di esibizione né ha risposto all'interpello. Tale circostanza, unitamente a quanto sopra riportato, convinceva il giudicante ad accogliere la domanda di «temerarietà della lite del convenuto, valutabile ai sensi dell'articolo 96 Codice procedura civile comma 3° e non primo, applicabile di ufficio».

Il Tribunale di Velletri, infatti, riteneva di condannare la convenuta anche per lite temeraria ritenendo opportuna «la condanna, oltre alle spese legali ordinarie del grado di giudizio, in caso di mancata desistenza del giudizio da parte convenuta , al risarcimento dei danni delle stesse per mala fede e responsabilità aggravata ex articolo 96 comma 3° Codice procedura civile, anche d'ufficio, alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione del 18 novembre 2019» (ordinanza 29812/2019 della terza sezione civile), venendo qui in rilievo, «non un risarcimento come nel caso di cui all'articolo 96 comma 1, bensì un indennizzo, una vera e propria pena pecuniaria inflitta per sanzionare colui che abbia abusato dello strumento processuale, nonché abbia così appesantito inutilmente il corso della giustizia, agendo con imprudenza, colpa o dolo (Tribunale Roma, 28 settembre 2017; Cassazione 3311/2017; Cassazione 7726/2016 ed altre)».

Conclusioni

L'applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 96 Codice procedura civile pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una «condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cassazione 27623/ 2017) e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione, come nel caso di specie e come evidenziato in maniera chiara ed inequivocabile dalle risultanze istruttorie.Per tutti questi motivi, la convenuta veniva condannata alla rifusione della somma prelevata fraudolentemente mediante l'uso del bancomat con pin, oltre alla refusione delle spese di giudizio nonché con condanna della stessa ex articolo 96 Codice procedura civile comma terzo.

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