Condominio

Il condominio non può chiedere la revoca giudiziaria dell’amministratore dimissionario

La figura, già depotenziata con l’interruzione del mandato, mantiene il suo incarico fino alla nomina del successore per garantire continuità nella gestione dello stabile

di Rosario Dolce

Le dimissioni rassegnate dall'amministratore esautorano i suoi poteri e ne impediscono la revoca giudiziaria. Il principio è stato appena elaborato e giustificato dal Tribunale di Palermo, con un decreto emesso in sede di giurisdizione volontaria in data 22 luglio scorso (giudice relatore Cipitì).

I fatti di causa

Il caso da cui sorge la controversia è un'azione di revoca giudiziaria intrapresa da alcuni condòmini di uno stabile siciliano a norma della previsione portata dall'articolo 64 delle disposizioni di attuazione del Codice civile. I ricorrenti lamentavano la sussistenza di diverse gravi irregolarità poste in essere negli ultimi due anni di mandato da parte dell'amministratore resistente, per quanto riportate nel comma 12 dell'articolo 1129 Codice civile. Dalla rappresentazione dei fatti in giudizio da parte dei ricorrenti, tuttavia, un evento accomunava la ricostruzione degli stessi con quelle riferite parimenti da parte dell'amministratore resistente: nelle more del biennio in disamina, poco prima della conclusione del primo anno di mandato, quest'ultimo aveva rassegnato le proprie dimissioni all'assemblea dei condòmini, manifestando l'intendimento di non voler proseguire oltre nell'incarico ricevuto. Frattanto, si erano pure celebrate diverse assemblee dei condòmini, le quali, tuttavia, non si erano mai concluse con la nomina di un nuovo amministratore a causa della carenza dei quorum costitutivi e deliberativi.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale di Palermo, sulla scorta di tali assunti, ha dichiarato inammissibile il ricorso, assumendo che non si può recidere un rapporto di mandato già in sé esaurito e privo di effetti alcuno. L'argomentazione offerta al riguardo parte dal presupposto di dover correttamente inquadrare il rapporto professionale intessuto dall'amministratore con il condominio, configurandosi – come previsto d'altronde dal comma 15 dell'articolo 1129 Codice civile – nell'ambito del rapporto di mandato. In quanto tale, i giudici siciliani hanno convenuto che il rapporto di mandato in disamina può interrompersi a norma della previsione di cui agli articoli 1722 e 1727 Codice civile tramite la rinuncia al mandato da parte del mandatario, il quale opera come «recesso unilaterale» con efficacia ex nunc, ossia a decorrere da quando la relativa dichiarazione di volontà sia stata indirizzata al mandante e sia decorso l’eventuale preavviso (Cassazione civile, 10739/2000).

Le dimissioni invalidano la revoca giudiziaria

A fondamento ulteriore della conclusione raggiunta, infine, i giudici hanno soggiunto che, una volta prodottosi l'effetto assegnato dalla legge alla rinuncia, l'amministratore opera in regime di prorogatio imperii , la quale transizione determinata dalla necessità di assicurare la continuità della gestione, non integra la sussistenza di un rapporto giuridico suscettivo di giudiziale revoca ai sensi dell'articolo 1129, comma 3, Codice civile. Anzi, lo stato di quiescenza che viene a determinarsi nelle more del periodo in considerazione – sempre secondo i giudici siciliani – depotenzia i poteri dell'amministratore, il quale deve ritenersi esonerato dall'obbligo di ripartire spese, incassare i contributi e, più in generale, mantenere il governo dei beni e servizi comuni, essendo esclusivamente tenuto all'esecuzione delle eventuali attività urgenti funzionali a evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto a ulteriori compensi, oltre che a convocare l'assemblea dei condòmini per la nomina di nuovo amministratore al fine di assicurare la continuità della gestione piena del condominio.

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