Il condominio non può essere vincolato senza termine agli obblighi derivanti dalle convenzioni urbanistiche
Questo in virtù del generale principio che un obbligo di carattere personale e continuativo non può vincolare un soggetto senza alcun limite di tempo
L’interesse pubblico e quello privato, spesso trovano un’utilissima sintesi nelle cosiddette convenzioni urbanistiche. Trattasi essenzialmente di accordi conclusi tra Pa e privati per perseguire differenti finalità: il privato, ottiene agevolmente la concessione edilizia; la Pa, invece, riesce a pianificare ed attuare adeguati strumenti di urbanizzazione con la piena collaborazione dei privati. Non è affatto raro che anche le compagini condominiali siano parti di tali accordi; ma è possibile che un condominio venga vincolato senza termine all’adempimento degli oneri concordati con l’ente pubblico?
A questo interrogativo di non poco conto, fornisce chiara e qualificata risposta il Tar Lombardia con la sentenza numero 603 del marzo 2023.La particolarità del provvedimento, sta tutta nel fatto che la decisione è diretta ed immediata conseguenza di una generale disamina sui principi che governano le obbligazioni ed i contratti nel nostro sistema giuridico.Ma procediamo con ordine, partendo dalla vicenda che fa da sfondo alla pronunzia.
I fatti di causa
Nell’ambito di un piano di recupero urbano avviato dal Comune, veniva edificato un fabbricato condominiale,con tanto di stipula di convenzione urbanistica tra ente pubblico e privati danti causa del condominio. Nella convenzione, era presente un articolo ben preciso che stabiliva un obbligo perpetuo a carico delle parti private; in buona sostanza, i condòmini erano tenuti a provvedere a propria cura e spese alla manutenzione ordinaria dei parcheggi pubblici (compresa la pulizia), del verde pubblico, e delle relative attrezzature. Ebbene, non tollerando più di essere gravato a tempo indeterminato da tale onere, il condominio decideva di presentare al Comune un’istanza con la quale chiedeva che gli interventi manutentivi delle parti private cessassero. A tale istanza, facevano seguito una diffida a provvedere, notificata al Comune, ed un successivo ricorso davanti al Tar territorialmente competente.
Nel ricorso si lamentava la violazione di una pluralità di norme della legge 241/1990, ovvero la normativa che disciplina il buon andamento, l’efficienza, la trasparenza e la correttezza dell’amministrazione pubblica. Secondo l’assunto difensivo del condominio, nella convenzione stipulata con il Comune vi era una clausola nulla per violazione dell'articolo 1346 del Codice civile, ai sensi del quale l'oggetto del contratto deve essere determinato o almeno determinabile, anche perché un vincolo contrattuale perpetuo appare non contemplato e non concepibile dal nostro ordinamento giuridico.
La disamina del Tar e la decisione
Il Tar Lombardia annovera le convenzioni attuative dei piani urbanistici fra gli accordi procedimentali o sostitutivi disciplinati dall'articolo 11 della legge 241/1990; e tuttavia, i giudici ci tengono a precisare che le convenzioni in parola soggiacciono altresì ai principi del Codice civile in tema di obbligazioni e contratti.Nel caso di specie, si deve porre mente all'articolo 1421 del Codice civile, a norma del quale la nullità del contratto può essere rilevata d'ufficio dal giudice, purché nel giudizio si discuta dell’applicazione del contratto,e la parte abbia uno specifico interesse alla declaratoria della nullità.Ebbene, appare chiaro ed evidente che l’intera vicenda sottoposta al vaglio del collegio giudicante ruoti attorno all’efficacia di una clausola contrattuale, e che la pretesa del condominio ricorrente è fondamentalmente la declaratoria di inefficacia della stessa.
I giudici hanno dunque pieno titolo a pronunziarsi circa la nullità dell’articolo della convenzione oggetto della contesa.Come si diceva in premessa, la decisione del Tar Lombardia deriva dalla disamina dei principi generali in tema di contratti.Seguendo il ragionamento giuridico elaborato dal Tribunale, si giunge alla conclusione che, un obbligo di carattere personale e continuativo, non può vincolare un soggetto senza alcun limite di tempo.
L'ordinamento civile prevede, infatti, durate diverse e massime per i singoli contratti.Ad esempio, la locazione non può avere durata superiore a trent'anni (articolo 1573 del Codice civile); l'affitto di fondi destinati al rimboschimento ha un termine massimo di novantanove anni (articolo 1629 del Codice civile). Per i contratti tipici a tempo indeterminato, è sempre ammessa la facoltà di recesso, proprio per evitare vincoli personali perpetui; anche nell'ipotesi di rendita perpetua (articolo 1861 del Codice civile) è sempre concesso al debitore il diritto di riscatto, nonostante qualunque patto contrario.
Considerazioni conclusive
Si può dunque asserire, senza tema di smentita, che esiste nel nostro ordinamento un principio generale secondo cui, in ogni rapporto contrattuale a tempo indeterminato, il recesso unilaterale costituisce un’ordinaria causa estintiva, considerato che la perpetuità di un vincolo obbligatorio contrasta anche con il principio di buona fede nell'esecuzione contrattuale. Anche laddove l’ordinamento civile contempla la possibilità di vincoli perpetui - essenzialmente in tema di servitù prediali - occorre sempre valutare adeguatamente la peculiarità dell’istituto giuridico; e difatti, in tale caso il vincolo non hai mai carattere personale, essendo imposto su di un fondo a vantaggio di un altro fondo.
Alla luce dell’interessante disamina condotta dal Tar, non può reputarsi legittimo l’obbligo manutentivo perpetuo posto in capo al condominio dalla convenzione urbanistica stipulata con il Comune. La clausola che contiene il suddetto onere, deve reputarsi inefficace, con conseguente liberazione del condominio dall’obbligo manutentivo a far tempo dalla notificazione al Comune della sentenza. Qualora le parti intendessero rinnovare la convenzione, il Comune dovrà tenere nella dovuta considerazione quanto enucleato nel provvedimento, e dunque stabilire dei limiti temporali ben precisi in ossequio ai generali principi dell’ordinamento.