Condominio

Il diritto condominiale preso sul serio: il diritto all’abitazione nei rapporti condominiali

Costituisce un bene primario che rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo

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di Ettore Ditta

Nelle decisioni che esaminano le questioni condominiali talvolta si fa riferimento anche al diritto all’abitazione. In realtà nel testo della Costituzione manca una enunciazione esplicita del diritto all’abitazione e su questa figura la dottrina non è concorde. Tuttavia la Corte costituzionale, in varie sue sentenze, ha riconosciuto il diritto all’abitazione in modo specifico, inserendolo fra i diritti inviolabili dell’uomo a cui fa riferimento l’articolo 2 della Costituzione. Con la sentenza 28 luglio 1983, numero 252, la Corte costituzionale ha affermato per la prima volta che l’abitazione, nella vita di ogni individuo, costituisce un bene primario che deve essere adeguatamente tutelato dalla legge, precisando peraltro che non rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo.

Successivamente con la sentenza 17 febbraio 1987, numero 49, emessa in tema di edilizia sovvenzionata, la Corte costituzionale ha precisato che le regole fondamentali della civile convivenza comportano la conseguenza che l’intera collettività deve impedire che qualche persona possa restare priva di abitazione.Con l’ulteriore sentenza 25 febbraio 1988, numero 217, in un giudizio relativo alla legge 18 dicembre 1986, numero 891, sull’acquisto della “prima casa”, la Corte ha inoltre aggiunto che, in una grave situazione di penuria degli alloggi in tutti i comuni ad alta tensione abitativa, i poteri pubblici devono favorire, sull’intero territorio nazionale e nel modo più ampio possibile, l’acquisto della prima casa da parte dei lavoratori; aggiungendo che l’articolo 47, comma 2, della Costituzione (secondo cui la Repubblica deve favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione) individua una forma di garanzia privilegiata dell’interesse primario a disporre di una abitazione nelle misure dirette ad agevolare e, quindi, a rendere effettivo il diritto delle persone più bisognose ad avere un alloggio in proprietà.

La pronuncia della Corte costituzionale 404/1988

Tuttavia l’enunciazione più specifica del diritto all’abitazione è stata formulata, per la prima volta, con la sentenza 7 aprile 1988, numero 404, emessa in relazione all’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, numero 392, sulla successione nel contratto di locazione. La Corte costituzionale ha infatti riconosciuto inequivocabilmente il diritto all’abitazione come diritto sociale collocabile fra i diritti inviolabili dell’uomo disciplinati dall’articolo 2 della Costituzione, ricordando i propri precedenti e precisando che le sue statuizioni passate – nonostante siano state espresse con riferimento allo specifico favore, previsto dall’articolo 47, comma 2, della Costituzione, per l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione – sono dotate di una portata più generale, dal momento che si ricollegano al fondamentale diritto umano all’abitazione previsto dall’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (New York, 10 dicembre 1948) e all’articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali, approvato il 16 dicembre 1966 dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978, per effetto dell’autorizzazione disposta dalla legge 25 ottobre 1977, numero 881.

La Consulta ha affermato che la legge 27 luglio 1978, numero 392 (che, nel periodo in cui è stata emessa la sentenza, era ancora vigente nella sua integrità) costituiva così espressione del dovere collettivo di solidarietà sociale che ha per contenuto quello di impedire che qualcuno resti privo di abitazione.Successivamente sono seguite altre pronunzie sempre conformi con questi principi.Così la sentenza della Corte costituzionale 21 novembre 2000, numero 520, ha affermato che il diritto all’abitazione rientra fra i requisiti essenziali che caratterizzano la socialità a cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione.

Le pronunce più recenti

L’ordinanza della Corte costituzionale 14 dicembre 2001, numero 410, ha affermato che il diritto all’abitazione costituisce un interesse primario della persona. E la sentenza della Corte costituzionale 23 maggio 2008, numero 166, ha precisato che esistono livelli minimali di fabbisogno abitativo strettamente inerenti al nucleo irrinunciabile della dignità della persona umana. Più di recente l’ordinanza della Corte costituzionale 12 gennaio 2022, numero 43, ha dichiarato fondata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’articolo 1, comma 1, della legge 2 agosto 2004, numero 210 (tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire) e degli articoli 1, comma 1, lettera d), e 9, comma 1, del decreto legislativo di attuazione 20 giugno 2005, numero 122, nella parte in cui non riconoscono il diritto di prelazione nell’esecuzione forzata alle persone fisiche che hanno avuto l’alloggio anche se abbiano acquistato prima che sia richiesto il permesso di costruire, dal momento che è primaria l’esigenza di difendere il diritto inviolabile all’abitazione.

Il diritto all’abitazione e l’esistenza del diritto costituzionale all’abitazione inteso come diritto primario della persona è stato affermato anche dalla Cassazione penale, con la sentenza 26 settembre 2007, numero 35580, con riferimento ad una condanna ad una multa, per il reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell’Iacp, escludendo l’applicazione dello stato di necessità previsto dall’articolo 54 del Codice penale che la persona imputata aveva invece invocato come causa di giustificazione.

E la Cassazione sul punto ha evidenziato che, ai fini della sussistenza dell’esimente dello stato di necessità previsto dall’articolo 54 del Codice penale, rientrano nel concetto di «danno grave alla persona» non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche tutte quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'articolo 2 della Costituzione e che, pertanto, rientrano in tale previsione anche le situazioni che minacciano in maniera solo indiretta l'integrità fisica del soggetto riferite alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, fra i quali deve essere ricompreso il diritto all'abitazione, in considerazione del fatto che l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari di ciascuna persona.

La compromissione del diritto di abitazione ed il danno esistenziale

In senso analogo anche Cassazione penale, sentenza 30 ottobre 2019, numero 10694, ha affermato che l’occupazione abusiva di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, precisando peraltro che devono ricorrere, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, che sono l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo; e che di conseguenza la causa di giustificazione può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di acquisire un alloggio per risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa.

Queste enunciazioni di carattere teorico però non hanno avuto una valenza solo astratta, ma hanno ricevuto anche alcune applicazioni concrete per i rapporti condominiali. Si possono ricordare almeno due ipotesi significative. La prima riguarda la possibilità che la lesione del diritto all’abitazione possa comportare il risarcimento del cosiddetto «danno esistenziale» secondo i principi enunciati dalle Sezioni unite della Suprema corte, con le «sentenze di San Martino» 11 novembre 2008, numeri 26972, 26973, 26974 e 26975.Va ricordato che le Sezioni unite hanno escluso l’ammissibilità nel nostro ordinamento del danno esistenziale come categoria autonoma e hanno affermato che i pregiudizi determinati dalla lesione di diritti costituzionalmente riconosciuti o derivanti da fatti che costituiscono reato ricadono sotto l’ambito operativo dell’articolo 2059 del Codice civile, senza necessità di invocare altre figure di danno che comporterebbero altrimenti duplicazioni risarcitorie per una medesima situazione.

Vale a dire che, al di fuori dai casi determinati dalla legge, il danno non patrimoniale usufruisce della tutela risarcitoria soltanto quando venga accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona, in quanto deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata.Alcune successive sentenze della stessa Cassazione tuttavia hanno rimesso in discussione questa impostazione. Cassazione sentenza 3 ottobre 2013, numero 22585 ha affermato che il danno esistenziale è costituito dal danno che, in caso di lesione del bene salute, si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del danneggiato, come conseguenza (dotata però di una sua autonomia) della lesione accertabile sotto il punto di vista medico.

Il giudice perciò, dopo avere identificato l’indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale che risulta lesa dall’azione illecita, deve effettuare una rigorosa analisi e valutazione sia dell’aspetto interiore del danno (dato dalla sofferenza morale), sia del suo impatto che modifica in senso peggiorativo la vita quotidiana dell’interessato (rappresentato quindi dal danno esistenziale).Si perviene allora alla conclusione che, in presenza della violazione di un diritto garantito a livello costituzionale, come è appunto il diritto all’abitazione secondo il significato che viene dato dalla giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, sorge l’obbligo del risarcimento a favore di chi subisce un pregiudizio in tale sfera, indipendentemente da eventuali ulteriori danni di tipo patrimoniale oppure biologico, che determinano invece tipi di risarcimenti differenti.

La nozione di danno esistenziale assume una connotazione fortemente persuasiva, perché fa riferimento all’esigenza di prestare tutela alla persona nell'ambito di una concezione dinamica della personalità valorizzata nel suo essere e nel suo svolgersi attraverso le varie manifestazioni in cui si sostanzia la vita quotidiana e ha trovato applicazione in numerose sentenze di merito (Tribunale di Milano 21 ottobre 1999; Tribunale di Milano 15 giugno 2000; Appello L’Aquila 27 febbraio 2001; Tribunale Roma 10 ottobre 2001; Tribunale di Ivrea 22 giugno 2004; Tribunale di Milano 14 settembre 2006, numero 10143; Tribunale di Roma 23 settembre 2009; Giudice di pace Venezia 15 dicembre 2009, numero 502; e Tribunale di Vicenza 23 dicembre 2009, numero 2128).

Il caso dell’installazione dell’ascensore

L’altra applicazione particolare del diritto all’abitazione è stata fatta con riferimento alla installazione di un ascensore su una area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, da Cassazione ordinanza 9 marzo 2017, numero 6129, che ha affermato che, in tema di condominio, tale opera rientra fra le innovazioni indicate dalla legge 118/1971 e suo decreto di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica 384/1978) che possono essere approvate dall’assemblea con la maggioranza agevolata prevista dall’articolo 2, della legge 13/1989 oppure che, nel caso di deliberazione sfavorevole o non adottata nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, l’opera può essere installata, a sue spese, dal portatore di handicap, nel rispetto dei limiti previsti dagli articoli 1120 e 1121 del Codice civile.

È stato ma poi aggiunto pure che la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali si deve includere anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, pure se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione.

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