Condominio

Il diritto condominiale preso sul serio: la video-sorveglianza nell’edificio e gli effetti della privacy

Può succedere che, nonostante l’approvazione con la maggioranza assembleare prescritta l’installazione delle telecamere risulti ugualmente illegittima

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di Ettore Ditta

L’articolo 1122-ter del Codice civile, introdotto dalla legge di riforma del condominio 220/2012, ha previsto, per la prima volta, una maggioranza deliberativa per approvare l’installazione degli impianti di videosorveglianza, disponendo che le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza dettata dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile (vale a dire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).

Questa previsione ha riempito un vuoto normativo e ha messo fine ad un contrasto, anche giurisprudenziale, che sul punto si è protratto nel tempo, ma la previsione dell’articolo 1122-ter non si pone come alternativa, bensì come complementare rispetto ai principi di carattere generale previsti dalla disciplina sulla privacy e validi per qualunque settore.Una parte della giurisprudenza ha sostenuto che la delibera che ha per oggetto la videosorveglianza deve essere approvata all’unanimità e questo è avvenuto anche dopo l’entrata in vigore dell’articolo 1122-ter.

La pronuncia di legittimità sul quorum

La questione della maggioranza necessaria per deliberare l’installazione di telecamere di videosorveglianza sulle parti condominiali è stata infine oggetto di una specifica decisione della Suprema corte, la quale ha affermato, facendo riferimento all’articolo 1122-ter, che per deliberare l’installazione di telecamere di videosorveglianza sulle parti condominiali non è necessaria l’unanimità dei consensi, bastando invece la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2 (Cassazione ordinanza 11 maggio 2022, numero 14969).

Questa decisione non ha fatto altro che applicare in maniera testuale la disposizione normativa, ma, pure dopo l’introduzione dell’art. 1122-ter e della maggioranza deliberativa che prevede, la videosorveglianza resta comunque assoggettata alla normativa sulla tutela dei dati personali e ai numerosi provvedimenti appositamente emanati nel corso degli anni. La previsione di una specifica maggioranza agevolata per installare impianti di videosorveglianza nelle zone condominiali, infatti, non esclude l’applicazione delle disposizioni generali contemplate dalla normativa sulla tutela dei dati personali, come si desume dai provvedimenti generali emessi dal Garante della privacy (provvedimenti 29 novembre 2000, 29 aprile 2004 e 8 aprile 2010 e il successivo vademecum del 10 ottobre 2013), che hanno sempre richiamato la necessità, in caso di installazione di sistemi di videosorveglianza per controllare aree condominiali, di adottare tutte le precauzioni prescritte dal Codice della privacy e dai provvedimenti generali del Garante sulla videosorveglianza.

Liceità, necessità e proporzionalità

A questi provvedimenti si sono inoltre aggiunte le linee guida europee 3/2019 sul trattamento dei dati personali del 10 luglio 2019 adottate in Italia in data 29 gennaio 2020.I provvedimenti generali e il vademecum del 10 ottobre 2013 hanno sempre evidenziato, indipendentemente dall’aspetto particolare della maggioranza deliberativa per approvare l’opera, che la realizzazione di qualunque impianto di videosorveglianza deve comunque avvenire nel rispetto dei principi – dotati di efficacia generale – di liceità, necessità e proporzionalità prescritti dalla normativa sulla tutela dei dati e che, inoltre, deve essere oggetto di idonea informativa.

In particolare il provvedimento del 29 aprile 2004 ha chiarito (al numero 62.5) che:
- la normativa sulla privacy trova applicazione in caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di più proprietari o condòmini, oppure da un condominio, dalla relativa amministrazione (comprese le amministrazioni di residence o multiproprietà), da studi professionali, società o da enti no-profit;
- l´installazione di questi impianti è ammissibile solo in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportano la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico);
- la valutazione di proporzionalità deve essere effettuata, anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che non prevedono la registrazione dei dati, in rapporto ad altre misure già adottate o da adottare, come ad esempio sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici e abilitazione degli accessi.

Obbligo di segnalare le telecamere

Significativo in questo senso è anche il fatto che, successivamente all’entrata in vigore dell’articolo 1122-ter, nel vademecum del 10 ottobre 2013, riguardo alla videosorveglianza condominiale, si afferma che:
- l’installazione di un sistema di videosorveglianza da parte del condominio per controllare le aree comuni comporta l’obbligo che siano adottate in particolare tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza (compreso quindi l’obbligo di segnalare le telecamere con appositi cartelli e quello di conservare le registrazioni per un periodo limitato; inoltre le telecamere devono riprendere solo le aree comuni da controllare, evitando per quanto possibile la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti; ed infine i dati raccolti devono essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l'accesso alle sole persone autorizzate);
- la riforma del condominio ha sanato un vuoto normativo, più volte segnalato dal Garante della privacy a Parlamento e Governo, relativo alla maggioranza richiesta per poter installare un sistema di videosorveglianza condominiale. Di conseguenza la disposizione che prevede la maggioranza necessaria per approvare la videosorveglianza e le prescrizioni di carattere generale contenute nella normativa sulla privacy si pongono in uno stretto collegamento, che ne presuppone l’applicazione contestuale.

La normativa sulla sicurezza

Il mero raggiungimento della maggioranza prescritta dall’articolo 1122-ter non consente di ritenere legittima la delibera in qualunque caso, perché mantengono sempre la loro vincolatività i principi fondamentali previsti dalla normativa sulla riservatezza. La disciplina sulla protezione dei dati personali sottopone in ogni caso l’utilizzo dei dati ad una serie di principi generali a cui tutte le disposizioni di settore si devono adeguare (i principi di liceità, di necessità, di proporzionalità e di finalità, che comportano che i dati trattati devono essere sempre pertinenti e non eccedenti) e quindi non sono sufficienti soltanto l’apposizione di cartelli di segnalazione visibili anche di notte, la conservazione dei dati registrati per un periodo di tempo limitato e la limitazione dell’inquadratura delle telecamere alle sole zone comuni.

Bisogna infatti tenere presente che il principio di necessità esclude del tutto l’utilizzo di dati di persone identificabili se le finalità del trattamento possono essere realizzate pure con l’impiego soltanto di dati anonimi e che il principio di proporzionalità richiede che l’installazione delle telecamere venga decisa unicamente in presenza di rischi reali e non affrontabili in maniera adeguata mediante idonei accorgimenti di natura diversa, come la presenza di custodi, l’installazione di porte blindate, di sistemi di allarme e simili.Nei casi in cui i principi ricordati risultassero violati, il raggiungimento della sola maggioranza prevista dall’articolo 1122-ter non basterebbe a rendere legittima l’installazione di un impianto di videosorveglianza. Può succedere così che, nonostante l’approvazione della relativa delibera con la maggioranza assembleare prescritta dall’articolo 1136, comma 2, l’installazione delle telecamere risulti ugualmente illegittima in tutti i casi in cui, per la situazione specifica, non vengano osservati i principi generali ricordati.

La tutela degli inquilini e di chi ha accesso allo stabile

Va tenuto presente che l’installazione dei sistemi di videosorveglianza potenzialmente può sacrificare i diritti che riguardano non solo i condòmini, ma anche i conduttori che vivono o lavorano nell’edificio (ma che non sono titolati a partecipare all’assemblea con diritto di voto autonomo, al contrario di quanto viene previsto per l’approvazione delle spese di riscaldamento e condizionamento dell’aria) e in generale tutti coloro che per qualsiasi motivo hanno accesso al palazzo, compresi i dipendenti che vi lavorano (come il portiere); e quindi, a maggior ragione, la videosorveglianza non deve avere una funzione meramente sostitutiva rispetto ad altre misure di norma utilizzabili ed utilizzate per preservare la sicurezza delle persone e dei loro beni, secondo una valutazione da effettuare sulla base degli elementi specifici di ciascuna situazione (nel nostro caso di ciascuno specifico edificio).

Si può aggiungere che una lettura meramente formalistica ed avulsa dal contesto complessivo in cui opera l’articolo 1122-ter viene smentita pure dalla considerazione secondo cui, in maniera analoga, anche l’articolo 71-quater, comma 5, delle disposizioni di attuazione del Codice civile consente di approvare con la maggioranza prescritta dall’articolo 1136, comma 2, la proposta di mediazione, ma che invece nell’applicazione pratica della disposizione si riconosce senza incertezze che, nello stesso modo in cui avviene con riguardo alle proposte transattive, anche per l’approvazione della proposta formulata dal mediatore sia sufficiente la maggioranza soltanto quando abbia per oggetto un diritto di credito, mentre, al contrario, diventa necessaria l’unanimità quando la proposta abbia per oggetto la cessione di diritti sulle parti comuni.

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