Il reato di rumore diffusivo nel condominio ed i requisiti per la sua sussistenza
Devono superare la normale tollerabilità ed essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone
Il rumore prodotto nel condominio è spesso causa di litigi che sfociano in processi penali. La Cassazione è intervenuta in materia esaminando la rilevanza penale della diffusività del rumore nei luoghi abitati in due ordinanze, la numero 36329/2020 e la numero 36330/2020 ).
La prima vicenda e la relativa decisione
Nel primo caso trattato una condòmina ricorreva avverso una sentenza che l'aveva condannata a 150 euro di ammenda, in quanto l'aveva ritenuta responsabile di ripetuti rumori molesti prodotti all'interno di un condominio, in modo di impedire il riposo notturno dei condòmini. La condòmina lamentava l'ingiustizia della condanna, perché i rumori disturbavano soltanto gli occupanti degli appartamenti limitrofi e non disturbavano la generalità dei condòmini e sosteneva che il fatto avesse prodotto un danno lieve, in modo da potersi applicare la causa di non punibilità prevista dall'articolo 131 -bis Codice penale.
La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, respingeva i due motivi in quanto sosteneva che la ricorrente non aveva provato che il rumore avesse disturbato solo i vicini e non la generalità dei condòmini. Il reato dell'articolo 659 Codice penale è un reato di pericolo e per la sua configurabilità è sufficiente l'attitudine delle fonti sonore, provocate dall'agente, ad essere sentite da una pluralità di soggetti. Tale fatto è stato accertato dal giudice attraverso l'escussione di tre testimoni i quali affermavano che i rumori di trascinamento dei mobili e le urla provenienti dall'appartamento dell'imputata impedivano il riposo notturno della generalità dei condòmini.
I requisiti per la sussistenza del reato
Il giudice di legittimità afferma che per la sussistenza del reato è necessario che i rumori superino la normale tollerabilità e siano idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone. Il reato , all'interno del condominio, pertanto necessita che l'attività di disturbo non leda solo la tranquillità degli immediati vicini , abitanti gli appartamenti soprastanti o inferiori, ma anche impedisca il riposo e le occupazioni di parte più parte consistente degli occupanti del medesimo edificio, in modo da compromettere la pubblica quiete.
Inoltre, la Cassazione respingeva la richiesta della causa di non punibilità di cui all'articolo 131 -bis Codice penale sia per la novità inammissibile della richiesta, non presentata al giudice di merito, sia per la mancanza di adeguata prova sul punto.
I fatti relativi alla seconda pronuncia
Nel secondo caso un soggetto ricorreva avverso la sentenza che lo aveva riconosciuto responsabile del reato di cui all'articolo 659 Codice penale, condannandolo a 300 euro di ammenda. Il ricorrente affermava l'ingiustizia della sentenza perché la stessa si basava sulle dichiarazioni della parte civile ed era priva di adeguato riscontro della capacità disturbante delle emissioni rumorose. La Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso, poiché il ricorrente riproponeva questioni già accertate dal giudice il quale evidenziava che la responsabilità dell'imputato, esercente di un bar, era stata provata attraverso le deposizioni dei testimoni, tutti residenti nella zona, i quali avevano riferito la diffusione ad alto volume della musica in ore notturne e di esposti e di querele, a vario titolo, presentate nel tempo.
Correttamente la sentenza richiamava la prevalente giurisprudenza per cui per l'accertamento del reato dell'articolo 659 Codice penale non è necessario un accertamento tecnico, allorquando le dichiarazioni dei testimoni risultino chiare, precise e concordanti, come è avvenuto nel caso trattato attraverso le dichiarazioni degli abitanti del condominio posto nelle vicinanze del bar gestito dall'imputato.
Inoltre, il giudice richiamava la giurisprudenza la quale afferma che il gestore di un pubblico locale risponde del predetto reato se non impedisce lo schiamazzo dei clienti al di fuori del suo locale, in quanto è soggetto a tale obbligo in qualità di titolare di una pubblica autorizzazione per il suo esercizio. In tali casi il gestore ha l'obbligo di intervenire, per fare cessare tali schiamazzi, o direttamente di persona o chiedendo l'intervento dell'autorità di pubblica sicurezza. In entrambi i casi la Cassazione ravvisava la colpa dei ricorrenti nell'avere determinato le cause di inammissibilità e pertanto li condannava a versare, ciascuno, euro tremila alla Cassa delle ammende.
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di Luca Savi - coordinatore scientifico Unai Bergamo