Inammissibile l’appello proposto dal condomino contro la sentenza in cui il condominio era parte
Nel caso in cui la sentenza riguardi la validità della delibera assembleare, soltanto l’amministratore è titolato a poterla appellare
Nel caso in cui la sentenza riguardi la validità della delibera assembleare, soltanto l’amministratore è titolato a poterla appellare. Nessun potere processuale compete ai condòmini, distintamente considerati, i quali non hanno legittimazione alcuna a gravare la decisione di primo grado che ha statuito sul deliberato impugnato. E' quanto chiarito dalla Corte di Appello di Milano con la pregevole pronuncia pubblicata il 30 giugno 2021.
Al termine della vicenda definita dal Tribunale di Milano nella quale era risultato soccombente il condominio, l’assemblea, riunitasi per valutare la proposizione dell'appello, non aveva raggiunto la maggioranza necessaria al conferimento del mandato giudiziale. Sennonché, un condomino aveva assunto l'iniziativa di impugnare la decisione di primo grado nella quale il tribunale ambrosiano, accogliendo le domande avanzate da altro condomino, aveva dichiarato nulla la delibera assembleare.
In primo grado
Un condomino rappresentava all'assemblea la necessità di allestire sulla corte comune il ponteggio dell’impresa per consentire la realizzazione di opere tese al recupero del proprio sottotetto. L’assemblea, tuttavia, manifestava il diniego all'accesso al cortile comune per cui il condomino si vedeva costretto ad impugnare la delibera dinnanzi al Tribunale di Milano.
Il condominio si costituiva e rilevava che il diniego era stato opposto perché fra le parti pendeva controversia incentrata sul ripristino dei velux installati sul tetto del suo appartamento. Il decidente ambrosiano dichiarava la nullità della delibera assembleare in quanto il rifiuto opposto era immotivato e riconosceva il diritto dell'impugnante a poter realizzare il recupero abitativo del sottotetto, quindi, a cantierare per il tempo necessario gli spazi comuni per eseguire le opere. Rilevava, altresì, che non era tenuto a doversi munire della preventiva autorizzazione assembleare. Corroborava l'assunto richiamando la giurisprudenza discendente dall'articolo 1102 Codice civile in forza della quale il condomino della porzione immobiliare sottostante al tetto è facultato ad aprire abbaini - con conseguente diritto delle maestranze ad occupare gli spazi condominiali - sempreché le opere vengano eseguite a perfetta regola d’arte e non compromettano la funzione della copertura.
Giudizio di appello, la questione
L’assemblea non aveva raggiunto la maggioranza utile al rilascio dell'autorizzazione all’amministratore a poter impugnare la sentenza. Frattanto, un condomino aveva appellato la sentenza di prime cure evidenziando che la sua legittimazione ad agire scaturiva dai princìpi statuiti dalla Corte di legittimità (Cassazione, Sezioni Unite, n. 10934/2019).
Domandava, tra l'altro, la dichiarazione del litisconsorzio necessario (con tutti i condòmini) con conseguente rimessione delle parti dinnanzi al tribunale stante la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 102 Codice procedura civile. Il condomino che in prime cure aveva incassato l'esito favorevole veniva evocato in appello. Si costituiva rilevando, tra l'altro, l'inammissibilità del rimedio impugnatorio perché il condomino appellante era sguarnito di legittimazione e carente di un interesse particolare.
La decisione della Corte meneghina
Per affermare la correttezza della legittimazione, l’appellante richiamava i postulati sanciti dal Supremo Consesso secondo cui «nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condomino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale - concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell’amministratore - di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario pro quota, sicché è ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condomino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intenda evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell’analoga difesa già svolta dallo stesso» (Cassazione, Sezioni Unite, n. 10934/2019).
La Corte d'Appello evidenzia che sebbene una serie di rilevanti pronunce abbia attribuito e riconosciuto facoltà processuali in capo ai singoli condòmini, va considerato che tale conclusione poggia le basi sul carattere autonomo del potere del condomino di agire a difesa dei suoi diritti di comproprietà nel caso in cui vi siano controversie relative a parti comuni incidenti sui diritti vantati dal singolo su di esse. Sarebbe inconcepibile la perdita, parziale o totale, del bene comune senza far salva la facoltà difensiva individuale. In estrema sintesi, il principio non è applicabile alle cause aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni assembleari. Ciò perché, essendo in discussione esigenze di carattere collettivo, la legittimazione attiva (e passiva) spetta in via esclusiva all’amministratore trattandosi di liti che non coinvolgono diritti su un bene o servizio comune, ma sulla gestione di essi.
A riprova, la corte menziona una recente pronuncia con cui la Cassazione (n. 2623/2021), pur tenendo presente il principio espresso dalle Sezioni Unite, chiarisce che nelle controversie riguardanti l’invalidità delle delibere assembleari, essendo l'amministratore l'unico soggetto legittimato passivo, l’eventuale intervento del singolo condomino è adesivo-dipendente per cui quest'ultimo non è ammesso a gravare la sentenza nella quale il condominio è risultato soccombente.
Nello stesso solco, altra decisione similare aveva ribadito che «la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all'amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest'ultimo finisce per escludere la possibilità d'impugnazione da parte del singolo condomino» (Cassazione n. 19609/2020).La Corte, infine, ha considerato un ulteriore motivo che ha prodotto il rigetto del gravame: il condomino appellante non aveva dimostrato, nemmeno indirettamente, di aver subìto una lesione nei propri diritti derivante dalla esecuzione delle opere avviate dal condomino proprietario dell'immobile sottostante il tetto. In sostanza, l’appellante non aveva provato di possedere legittimazione ed interesse ad agire concorrente o alternativo a quello del condominio soccombente.