L’area esterna di un condominio destinata a parcheggio è sempre comune
Salva riserva di proprietà nel titolo costitutivo del condominio o singoli atti di trasferimento, l’area esterna di un edificio condominiale si ritiene comune – e, quindi, assoggettata a speciale normativa urbanistica – qualora si accerti che sia destinata a parcheggio secondo i termini della concessione edilizia. Lo sottolinea la Corte di cassazione con ordinanza n. 18029 del 28 agosto 2020 (relatore Fortunato).
La lite si apre con la decisione di alcuni condòmini di citare in giudizio gli altri, obbligatisi verso il Comune a vincolare a parcheggio una porzione dell’area scoperta del complesso condominiale. Il problema? Che, avendo acquistato con successiva permuta anche l’uso esclusivo di posti auto scoperti nell’apposita area vincolata, essa era divenuta insufficiente per garantire il parcheggio. Di qui, la richiesta di accertare il loro diritto ad utilizzare due posti auto e di esser risarciti dei danni.
Domanda respinta dal tribunale: la diversa distribuzione dei posti auto rispetto alle originarie previsioni e l’impossibilità di esercitare il relativo diritto erano dipesi dalla scelta dei condòmini di realizzarvi un’aiuola nonostante la riduzione della superficie disponibile.
La Corte di appello conferma l’orientamento e la questione arriva in Cassazione. Prima della permuta, si legge in ricorso, alcune particelle erano già state alienate a condòmini, con conseguente sottrazione di spazio residuo da adibire a parcheggio per cui – al momento della cessione del diritto d’uso dei posti auto – non vi era più un’intera area di parcheggio da dividere con delibera tra i comproprietari, caduta la situazione di comunione contemplata negli atti di trasferimento. Motivo bocciato.
Secondo i carteggi, contestualmente all’individuazione dei posti assegnati agli acquirenti, era stata rimessa all’assemblea condominiale la regolazione definitiva del diritto di uso dell’area comune tra tutti gli aventi diritto, senza attribuire a terzi la titolarità di un diritto esclusivo su singoli e individuati spazi.
Soluzione coerente con la speciale normativa urbanistica (articolo 41 sexies della Legge 1150/1942) che si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio determinando un diritto reale d’uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condòmini, senza imporre all’originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà di tali spazi.
Tuttavia, prosegue la Corte, è chiaro che qualora manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento al riguardo nei singoli atti di trasferimento delle unità, quelle aree globalmente considerate andranno ritenute parti comuni (Corte di cassazione 5831/2017).
Nella vicenda, allora, era logica la sentenza che aveva escluso che le vendite avessero pregiudicato il diritto all’uso dei posti auto, rilevando che, considerata la natura condominiale dell’area, l’individuazione dei posteggi era rimessa alle decisioni dell’assemblea come esercizio del potere di disciplinare le modalità d’uso dei beni comuni.
Inammissibile, anche la lamentela circa l’omessa pronuncia sulla paventata sottrazione dell’area di parcheggio alla destinazione impressa dalla concessione edilizia o sull’addotta violazione degli standard minimi delle superfici vincolate tanto da radicare la responsabilità del venditore per mancata attuazione della destinazione prevista in concessione edilizia.
A ben vedere, scrive la Corte, la sentenza aveva chiaramente affermato che, all’atto della permuta, la superficie dell’area scoperta fosse sufficiente a garantire il diritto di parcheggio nonostante la situazione creatasi con le vendite. Peraltro, la stessa permuta aveva rimesso la regolazione del diritto di uso alla volontà assembleare sicché solo a seguito della realizzazione dell’aiuola gli spazi erano divenuti insufficienti.
In sostanza, la violazione del vincolo di destinazione andava collegata unicamente alle determinazioni assembleari. Queste, le ragioni per le quali la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso.