Condominio

La responsabilità del condomino per i danni causati a terzi durante l'esecuzione del contratto di appalto

La stipula di quest’ultimo non costituisce normalmente elemento idoneo ad escludere la responsabilità del committente

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di Giancarlo Martino

La Cassazione, con l'ordinanza 21977 del 12 luglio 2022, ha affermato che il condomino-committente, in qualità di custode, risponde ex articolo 2051 Codice civile dei danni conseguenti alla rottura di una tubazione causata dall’appaltatore durante i lavori di ristrutturazione edilizia.

I fatti di causa

Nel caso in esame, un condomino conveniva in giudizio il proprietario dell'immobile sovrastante, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito dei lavori di rifacimento commissionati da quest'ultimo, che avevano determinato infiltrazioni d'acqua nel piano sottostante ed altri danni al soffitto e all'impianto elettrico.Il Tribunale e la Corte di appello di Milano rigettavano la domanda avanzata, affermando che il convenuto non poteva essere chiamato a rispondere dei danni ex articolo 2051 Codice civile, perché nel caso di specie non ricorreva un'ipotesi di danni arrecati “dalla cosa”, ma di danni arrecati dal fatto dell'uomo.

Avverso detta pronuncia il condomino-danneggiato proponeva ricorso per Cassazione, con il quale deduceva, tra gli altri, la violazione dell'articolo 2051 Codice civile, rilevando che la predetta norma dovesse trovare applicazione non solo nelle ipotesi di danno procurato dalla cosa per il suo intrinseco dinamismo, ma anche nei casi di pregiudizio arrecato dalla cosa per il fattore dannoso in essa insorto in conseguenza dell’opera dell’uomo, come avvenuto nel caso di specie.

La decisione

La Suprema corte ha accolto il motivo di ricorso avanzato, affermando che «il proprietario di un appartamento […] risponde ai sensi dell’articolo 2051 Codice civile dei danni causati dalla rottura di una tubazione, causata dall’appaltatore cui siano stati affidati lavori di restauro», così ribadendo un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale «l’articolo 2051 Codice civile trova applicazione sia quando il danno sia stato arrecato dalla cosa in virtù del suo intrinseco dinamismo, sia quando sia stato arrecato dalla cosa in conseguenza dell’agente dannoso in essa fatto insorgere dalla condotta umana».

Il danno da cosa in custodia per il tramite dell’attività di qualcuno

L'ordinanza in commento offre lo spunto per una breve disamina in ordine alla responsabilità da cose in custodia del condomino-committente, allorché l'evento dannoso derivi dalla cosa non già considerata in senso statico ma dinamico, ovvero per il tramite dell'attività umana, rappresentata nel caso in esame dalla condotta assunta dall'appaltatore durante l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione edilizia.La responsabilità da cose in custodia è un modello speciale di responsabilità fondato sul rapporto tra danneggiante e cosa.Difatti, a norma dell'articolo 2051 Codice civile «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito».

La norma citata non si riferisce al concetto di custodia inteso nel senso contrattuale del termine, bensì ad un effettivo potere fisico che implica il governo e l'uso della cosa, nonché la facoltà di escludere i terzi dal contatto con essa, sicché la qualità di custode può essere assunta non solo dal proprietario della cosa medesima, ma anche da chi ne assume il mero possesso o la semplice detenzione . Di conseguenza anche il singolo condomino, in qualità di custode dei beni di cui ha la disponibilità materiale e giuridica, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché gli stessi non rechino pregiudizio ad alcuno, rispondendo in caso contrario dei danni cagionati ex articolo 2051 Codice civile.

Il fatto prodotto dalla cosa e quello prodotto dall’uomo

Nell'ambito della responsabilità da cose in custodia il Codice civile vigente, rispetto alla formulazione contenuta nel codice del 1865, opera un diverso riferimento al fatto causativo del danno evento, non già considerato quale pregiudizio prodotto “con le cose” e, quindi, per effetto dell'azione dell'uomo che si avvale delle medesime, bensì quale nocumento prodotto “dalle cose” per effetto del loro modo di essere . In tal senso, si distingue tra “fatto della cosa” e “fatto dell'uomo”, allo scopo di chiarire che il danno risarcibile a norma dell'articolo 2051 Codice civile è unicamente quello derivante dal fatto della cosa ex se considerata e non quello conseguente al fatto dell'uomo, riconducibile al diverso modello di responsabilità civile previsto dall'articolo 2043 Codice civile.

Nondimeno, si discute se l'articolo 2051 Codice civile si riferisca ai soli pregiudizi cagionati dalle cose che in virtù del loro intrinseco dinamismo assumono un ruolo attivo nella produzione del danno, ovvero si estenda anche ai danni cagionati dalle cose inerti. Al riguardo, la giurisprudenza ha più volte affermato che la norma in esame non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danniper sua natura, cioè per suo intrinseco potere, in quanto, anche in relazione alle cose prive di un dinamismo proprio, sussiste il dovere di controllo e di custodia, allorché il fatto dell'uomo può prevedibilmente intervenire, come causa esclusiva o come concausa, nel processo obiettivo di produzione dell'evento dannoso, favorendo lo sviluppo di un agente, di un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa l'idoneità del nocumento .

Ogni cosa può potenzialmente produrre danno

Ne consegue che appare attualmente minoritario l'orientamento che presuppone la pericolosità della cosa sottoposta a custodia . Ed invero, la dottrina e la giurisprudenza ritengono che tutte le cose possano costituire causa di danno ai sensi dell'articolo 2051 Codice civile, quale che sia la loro struttura e qualità, siano esse cioè inerti, in movimento, pericolose o meno.Emblematiche in tal senso risultano talune pronunce in tema di danno procurato a causa dello scivolamento su pavimenti bagnati negli ipermercati e nelle banche, ovvero per caduta su gradini o marciapiedi in cattivo stato di manutenzione , dalle quali si desume il ricorso all'articolo 2051 Codice civile anche in ordine a cose di per sé inoffensive.

Per tali motivi, l'orientamento prevalente ritiene che la fattispecie in esame costituisca un modello di responsabilità oggettiva, facendo così gravare l'onere del peso economico conseguente alla verificazione di un evento pregiudizievole in capo al soggetto che beneficia degli effetti favorevoli derivanti dalla disponibilità di una cosa determinata, in ossequio al principio cuius commoda eius et incommoda, ovvero letteralmente «a colui che ha vantaggi, spettano anche gli svantaggi».Invero, l'articolo 2051 Codice civile non si fonda su una presunzione di colpa, essendo necessario e sufficiente per l'addebito di responsabilità la dimostrazione del nesso causale intercorrente tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, ovvero la relazione diretta tra la cosa e l'evento dannoso, come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità .

Il nesso tra la cosa e il danno

In quest'ottica, il profilo inerente al comportamento del custode risulta normalmente estraneo alla struttura della fattispecie normativa, sicché quest'ultimo potrà andare esente da responsabilità solo nei casi in cui intervenga una causa di per sé sola idonea ad interrompere il descritto nesso causale. Ne consegue che ai fini della configurabilità della responsabilità ex articolo 2051 Codice civile il danneggiato è tenuto solamente a provare il nesso eziologico sussistente tra la cosa in custodia ed il danno evento, che sussiste sia se il nocumento risulta causato dal dinamismo connaturato alla cosa sia se nella cosa stessa è insorto un agente dannoso, ancorché proveniente dall'esterno.Alla richiamata impostazione ermeneutica sembra aderire anche la pronuncia in commento, nella parte in cui la Suprema corte afferma che «tanto una tubazione idrica, quanto l’acqua in essa contenute, sono ‘cose' per i fini di cui all'articolo 2051 Codice civile, ed a tali fini nulla rileva se abbiano arrecato un danno perché guaste per vetustà o perché guastate dall'uomo».

«Nell'uno, come nell'altro caso, infatti, grava pur sempre sul custode l'onere di vigilare affinché la propria cosa non arrechi danno a terzi».La qualificazione in termini oggettivi della responsabilità da cose in custodia consente di comprendere come nel caso in esame, a differenza di quanto avviene in altre ipotesi di responsabilità civile, il nesso causale tra la cosa e l'evento di danno costituisce elemento necessario e sufficiente a consentire il ricorso al modello previsto dall'articolo 2051 Codice civile.Per converso, seguendo la medesima ratio, la prova del caso fortuito cui fa riferimento la norma, ove positivamente fornita dal custode, non rileva quale mero limite all'operatività dell'articolo 2051 Codice civile, ma ne esclude l'applicazione.

L’esonero da ogni responsabilità

Il caso fortuito si fonda sul riferimento ad un evento oggettivo caratterizzato non solo per la sua inevitabilità, ma anche per la sua estraneità rispetto agli eventi annoverabili nell'area di rischio correlata all'esercizio di una determinata attività umana.Detta valutazione, sebbene ancorata a parametri oggettivi, risulta connotata da elementi di adattabilità ed elasticità ai mutamenti socio-economici. Ed invero, in materia si distinguono tre diverse figure di caso fortuito: il fortuito autonomo, il fortuito incidentale ed il fortuito concorrente.In particolare, si parla di caso fortuito autonomo allorché l'evento intervenuto risulta del tutto assorbente sul piano eziologico, sicché la cosa in custodia è da considerarsi completamente estranea al decorso causale che ha determinato la verificazione dell'evento di danno.

Il caso fortuito incidentale sussiste, invece, nei casi in cui la cosa assume sì rilevanza causale nell'ambito della vicenda, ma rispetto all'evento dannoso svolge un ruolo sostanzialmente passivo rispetto ad un altro evento che nel caso concreto risulta causalmente assorbente. Da ultimo, si configura l'ipotesi del caso fortuito concorrente quando il fattore esterno interviene unitamente alla cosa nella produzione del danno evento, sicché quest'ultimo non risulta di per sé solo in grado di rilevare sul piano causale allo scopo di elidere ogni legame tra la res e l'evento di danno e, conseguentemente, escludere la responsabilità ex articolo 2051 Codice civile.

Conclusioni

A tal proposito, la questione che si pone nel caso in esame inerisce alla possibilità di configurare o meno la condotta assunta dall'appaltatore, consistita nella rottura di una tubazione, in termini di caso fortuito autonomo, idoneo ad escludere la responsabilità che l'articolo 2051 Codice civile pone a carico del condomino-committente per i danni cagionati dalla cosa a terzi.Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità afferma che nel caso in cui il contratto di appalto non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera, resta a carico del detentore dell'immobile il correlato dovere di custodia, la cui violazione determina l'applicazione dell'articolo 2051 Codice civile.

In conclusione, la stipula di un contratto di appalto non costituisce normalmente elemento idoneo ad escludere la responsabilità del committente per i danni cagionati dalla cosa per opera dell'appaltatore, non facendo venire meno la disponibilità materiale e giuridica della res e, conseguentemente, l'obbligo di custodia posto a fondamento del modello di responsabilità delineato all'articolo 2051 del Codice civile.

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