Non si scherza con il condominio; ragioni ed effetti della sentenza della Cassazione
Sanzione della censura per il legale, nel caso specifico, per plurime cause rivolte nei confronti di un ex condòmino
E' punibile con la sanzione disciplinare della “censura” la condotta del legale che ha fatto intraprendere al condominio patrocinato plurime azioni giudiziarie non necessarie nei confronti di un condòmino apparente. Questo è ciò che si ricava dalla sentenza 25574 del 12 novembre 2020 emessa dalla Cassazione in sezioni Unite.
La deontologia forense
Il Codice deontologico forense stabilisce le norme di comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificatamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Anche tramite il rispetto di tali norme di comportamento, l'avvocato contribuisce all'attuazione dell'ordinamento giuridico per i fini della giustizia.
Il Codice deontologico, attualmente in vigore, è stato approvato dal Consiglio nazionale forense il 31 gennaio 2014 in attuazione della legge 247/2012 - recante Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense- ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale numero 241 del 16 ottobre 2014.Ciò premesso, il caso definito dalla sentenza, riguardava una fattispecie di responsabilità deontologica imputata all'avvocato dal proprio ordine di appartenenza, a fronte di plurime cause rivolte nei confronti di un ex condòmino, in violazione dell'articolo 63 delle Disposizioni di attuazione al Codice civile.
Il caso specifico
I capi di incolpazione – come vengono definite le imputazioni rivolte agli avvocati, dal punto di vista deontologico- erano due:
- il primo, quello contenuto nell'articolo 36 previgente (oggi trasfuso nell'articolo 23) che vieta all'avvocato di aggravare la controparte con plurima azione;
- il secondo, in relazione all'articolo 8 del «previgente codice deontologico forense», per non avere l'avvocato adempiuto ai propri doveri professionali con diligenza.Per quanto qui di rilievo, la sanzione irrogata all'avvocato – poi confermata nella sentenza in commento – è stata la “censura”, la quale, in particolare, consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità dell'infrazione, il grado di responsabilità, i precedenti dell'incolpato e il suo comportamento successivo al fatto inducono a ritenere che l'avvocato non incorrerà in un'altra infrazione.