Condominio

La revoca dell’atto di compravendita immobiliare

di Valeria Sibilio

Le controversie giuridiche collegate ad episodi di compravendita immobiliare, in ambito condominiale, sono state al centro dell' ordinanza della Cassazione n°30187 del 2018 , nella quale i vizi prospettati nel ricorso non hanno rispettato le prescrizioni sancite dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alle modalità di formulazione.
Il caso trae origine dalla domanda di revoca, da parte degli eredi del proprietario di una unità immobiliare, dell'atto di compravendita stipulato tra di loro e dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale rogato da due coniugi, titolari di una società, avente ad oggetto le unità immobiliari compravendute. A sostegno della domanda, gli attori esposero che, nel 2000, la società aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita relativo a due appartamenti e tre box in un immobile in corso di costruzione, per il prezzo di 660 milioni di lire, interamente versato dall'acquirente. Successivamente, le parti avevano concordato che un appartamento ed un box fossero posti in vendita, al prezzo di euro 185.000, a cura della società la quale aveva versato solo un acconto di euro 85.000, restando debitrice del prezzo residuo, rifiutandosi di stipulare il rogito di compravendita dell'altro appartamento e dei due box. Con sentenza del 26.6.2006, il Tribunale dispose il trasferimento delle unità immobiliari, condannando la società al pagamento dell'importo di euro 100.000 quale residuo prezzo delle unità vendute per conto degli attori i quali, successivamente, avevano promosso un'azione esecutiva su cinque box ed un deposito, unici beni che risultavano ancora di proprietà della società, gravati però da ipoteca ed ulteriori vincoli.
Quest'ultima si costituiva in giudizio, contestando la domanda, rappresentando che le parti, riguardo alla lite definita con la sentenza del Tribunale, il 29.12.2006 avevano raggiunto un accordo transattivo con cui la società si era obbligata ad estinguere a proprie spese l'ipoteca iscritta su una delle unità immobiliari oggetto della medesima lite, a pagare la tassa di registro della sentenza e, a garanzia dell'adempimento dei predetti obblighi, alla consegna di un pagherò cambiario di euro 60.000 euro. Gli eredi, tuttavia, avevano portato avanti l'azione giudiziaria nonostante l'incasso delle somme e la consegna del titolo.
I coniugi si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda per difetto dei presupposti di legge. In corso di causa, intervenivano volontariamente il Condominio, creditore della società in forza di sentenza del Tribunale, e due avvocati, creditori, in virtù di decreti ingiuntivi dello stesso Tribunale, impugnando solo l'atto di costituzione di fondo patrimoniale.
Il Tribunale accoglieva le domande, evidenziando come fosse intuitivo che la società, alienando i beni oggetto degli atti impugnati, in concomitanza con i residui suoi immobili, pregiudicasse i suoi creditori, rendendo più difficile il soddisfacimento delle loro ragioni di credito, rilevando, inoltre, che l'accordo transattivo tra la società e gli eredi era sottoposto alla condizione risolutiva che la società provvedesse alla cancellazione dell'ipoteca entro il termine essenziale del 15.4.2007. Tuttavia la società non aveva provveduto a cancellare l'ipoteca, né a pagare la tassa di registro, pagata invece dagli eredi i quali avevano ripreso la procedura esecutiva, notificando precetto per euro 89.000, oltre le spese di registrazione della sentenza. Da tale procedura, gli attori avevano conseguito la somma di euro 1.994,76, mentre il Condominio euro 3.071,47. La Corte di appello confermava la decisione di Primo Grado osservando che poiché l'atto di citazione introduttivo della lite era anteriore agli atti oggetto di revocatoria, era sufficiente la prova del dolo generico, cioè della previsione da parte del debitore del pregiudizio dei creditori, che doveva ritenersi nella specie provato in virtù dell'esito infruttuoso della procedura esecutiva. Il giudice aveva ritenuto che l'accordo transattivo doveva ritenersi risolto per inadempimento della società e che le critiche formulate in appello nei confronti della perizia estimativa erano inammissibili perché del tutto generiche ed infondate nel merito.
Per la Corte, il nuovo amministratore della società, non avendo sottoscritto personalmente gli atti o rilasciato mandato speciale al difensore per il deferimento del giuramento decisorio, non poteva giovarsi della procura rilasciata dal precedente amministratore, osservando che, con riferimento all'atto di costituzione di fondo patrimoniale, erano inammissibili le osservazioni formulate dalla società, del tutto estranea allo stesso atto.
La stessa corte dichiarava inammissibile l'appello incidentale dei coniugi, in quanto tardivamente proposto con comparsa di costituzione e risposta depositata all'udienza di prima comparizione.
Il legale rappresentante, nonché nuovo amministratore della società ricorreva contro tale sentenza in Cassazione sulla base di sei motivi, ai quali eredi e condominio non svolgevano difesa. Con il primo motivo, per il ricorrente i giudici avrebbero erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c., omettendo di valutare le allegazioni dedotte dalla società, limitandosi ad avallare l'erronea decisione del Tribunale sul punto. L'atto dispositivo non avrebbe arrecato alcun pregiudizio alle ragioni creditorie degli eredi, in quanto il loro credito sarebbe stato soddisfatto già prima dell'avvio dell'azione revocatoria, mediante pagamento di un acconto di euro 36.000 e la cancellazione del debito per cui era iscritta ipoteca per il valore di euro 44.000. Il patrimonio della società sarebbe stato tale da garantire il soddisfacimento delle ragioni dei creditori, constando di altri immobili di proprietà. Tali beni erano stati oggetto di successiva esecuzione, dalla quale gli eredi avrebbero incassato ulteriori euro 25.000. Con riferimento al debito nei confronti del Condominio, la società avrebbe potuto rivalersi sulla ditta che aveva eseguito i lavori per cui era sorta la lite, in virtù di espressa previsione contenuta nel contratto di appalto.
Con riferimento, invece, ai requisiti soggettivi dell'azione, all'epoca del rogito dell'atto di compravendita, la società debitrice, che confidava nell'accoglimento delle proprie ragioni nel giudizio pendente nei confronti degli eredi, non avrebbe potuto prevedere che, nel futuro, sarebbe stata condannata verso di loro al pagamento della somma di euro 100.000 curo quale risarcimento del danno. Inoltre, la circostanza che uno dei coniugi avesse avallato un pagherò cambiario rilasciato dalla società non dimostrerebbe la conoscenza da parte dello stesso della posizione debitoria di quest'ultima. Anche il credito del Condominio sarebbe fondato su di un titolo esecutivo inesistente all'epoca in cui gli atti impugnati erano stati posti in essere.
Un motivo giudicato, dagli ermellini, inammissibile in quanto i vizi prospettati nel ricorso non rispettavano le prescrizioni sancite dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alle rispettive modalità di formulazione. Le censure di violazione o falsa applicazione di legge si risolvono nell'indicazione delle disposizioni violate, ma sono del tutto carenti della necessaria specificazione di quali sarebbero le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le individuate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità. I denunciati vizi motivazionali si concretano esclusivamente nell'inammissibile richiesta di un riesame nel merito della vicenda, senza che il ricorrente indichi quali siano i fatti storici (e non gli elementi istruttori), il cui esame sia stato omesso, né in che modo e quando tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti.
Nel secondo motivo, per il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe omesso di esaminare sia le censure sollevate dai coniugi, sia quelle mosse dalla società con riferimento alla revocatoria dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale. Quest'ultima non sarebbe stata del tutto estranea a tale atto. In realtà il fondo patrimoniale sarebbe stato costituito, a garanzia del nucleo familiare, in un epoca in cui gli stessi acquirenti, che non erano parti del giudizio nei confronti degli eredi, non potevano avere conoscenza della futura posizione debitoria della società. La garanzia prestata in favore della società non dimostrava alcunché, dipendendo da un debito per lavori di finiture nell'immobile di proprietà dei coniugi. L'inammissibilità della motivazione si evince nella parte in cui lamenta l'omessa pronuncia circa le censure sollevate dai terzi acquirenti. La Corte di secondo grado aveva correttamente dichiarato l'inammissibilità dell'appello incidentale dei coniugi, in quanto formulato tardivamente tramite comparsa di costituzione depositata all'udienza di prima comparizione. Le restanti censure risultano inammissibili perché dirette esclusivamente ad ottenere una nuova e più favorevole valutazione delle risultanze istruttorie.
Nel terzo motivo, il ricorrente fa rilevare che la società aveva contestato le conclusioni della perizia circa il valore dell'immobile, chiedendo anche il rinnovo della consulenza, al fine di verificare le spese per finiture e migliorie sostenute dai coniugi e di far stabilire il prezzo dell'immobile a rustico. La rilevante differenza tra il prezzo di acquisto degli immobili e la valutazione degli stessi sarebbe giustificata dalla circostanza che l'immobile presenta attualmente finiture di livello alto, fatte eseguire dagli acquirenti. Avvalorerebbe la tesi dell'errore da parte della CTU il fatto che l'immobile all'asta sia stato stimato del valore di euro 600.000.
Motivo anch'esso inammissibile per le stesse ragioni enunciate in relazione al primo motivo. Il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non ha provveduto alla trascrizione dei punti salienti della relazione della perizia, delle osservazioni dei consulenti di parte e delle specifiche censure sollevate, nel corso del giudizio di primo grado e in appello, rispetto alla consulenza tecnica d'ufficio.
Nel quarto motivo, per il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto che la transazione fosse risolta di diritto per l'inadempimento della società, omettendo di considerare che la ricorrente aveva correttamente, seppure tardivamente, adempiuto agli obblighi assunti con la stessa transazione, ad eccezione del pagamento della registrazione della sentenza. Inoltre, gli eredi non avrebbero chiesto la risoluzione dell'accordo transattivo o dichiarato di volersi valere della clausola risolutiva. Motivo giudicato inammissibile ed infondato, perché tratta dell'efficacia di un accordo transattivo che la sentenza ha accertato essere stato risolto per inadempimento della società stessa. La Corte d'appello aveva ritenuto che, poiché l'adempimento della Domino alla transazione era tardivo e comunque solo parziale, la stessa dovesse ritenersi risolta di diritto e che la volontà degli eredi di valersi della clausola risolutiva potesse desumersi implicitamente dalla proposizione dell'azione revocatoria.
Nel quinto motivo, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, il giuramento decisorio poteva essere deferito dalla società al coniuge che non rivestiva la stessa posizione processuale della prima, in quanto, in caso di sentenza definitiva, avrebbe subito un maggior danno, viste le spese sostenute per le migliorie e le rifiniture dell'immobile. Né rileverebbe la circostanza che il nuovo amministratore non abbia conferito procura speciale per il giuramento o sottoscritto personalmente il ricorso per la prosecuzione del giudizio interrotto, in quanto il mandato speciale era stato correttamente conferito con la procura apposta all'atto di appello da parte del precedente amministratore e la Corte d'appello aveva già prima dell'interruzione del giudizio rigettato implicitamente la richiesta, rinviando la causa a precisazione delle conclusioni. Motivo infondato, in quanto la nuova procura alle liti apposta dal nuovo amministratore si è sostituita, revocandola, a quella precedentemente conferita dal precedente che invece prevedeva tale potere.
Con il sesto motivo, per il ricorrente, nessun diritto potrebbero vantare nella causa i due legali, i quali, essendo stati in precedenza incaricati dai coniugi nella medesima causa, danneggerebbero la società avallando la fondatezza della pretesa degli e della domanda di revocazione. Motivo inammissibile per difetto d'interesse. La Corte territoriale, ha rilevato che i legali avevano impugnato esclusivamente l'atto di costituzione di fondo patrimoniale, cui la società era del tutto estranea.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso senza disporre sulle spese in considerazione del fatto che il convenuto non aveva svolto attività difensiva.

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