Condominio

Locali in condominio: del mancato rispetto dell’accesso ai disabili non risponde sempre il gestore dell’esercizio

Nel caso in questione era il mancato adeguamento degli spazi comuni ad inibire l’abbattimento delle barriere architettoniche

di Ivana Consolo

Con sentenza numero 8470 del 3 ottobre ultimo scorso, il Consiglio di Stato ci fornisce un’esplicazione molto utile ed interessante circa l’operatività della normativa in tema di abolizione delle barriere architettoniche negli edifici. Inutile dire che, nel momento in cui il legislatore italiano ha deciso di adottare la normativa in parola, ha dato il via ad un progresso notevole in termini di civiltà e cultura del rispetto.

Prevedere un obbligo di adeguamento di tutti gli edifici esistenti, ha significato rendere giustizia alle tante persone disabili presenti in questo paese, la cui vita, già estremamente difficile a causa della propria condizione personale, viene spesso resa ancora più complicata dall’esistenza di strutture non pienamente o liberamente fruibili ed accessibili. Ma la concreta operatività della legge, è ancor oggi un argomento spesso discutibile, soprattutto a causa della presenza (in essa) di elementi alquanto tecnici. Il provvedimento in esame consente di fare molta chiarezza in merito ai locali commerciali presenti in edifici condominiali.

I fatti di causa

La diatriba da cui trae origine il pronunciamento del Consiglio di Stato, vede contrapporsi il Comune di Latina ed un’attività di ristorazione posta al primo piano di un edificio condominiale.Il locale, destinato sin dalla sua edificazione (risalente agli anni ’40) ad esercizio di attività bar e ristorazione, era dotato di idonea certificazione di abitabilità, nonché di attestazione di agibilità. Appare fin da subito necessario descrivere le caratteristiche strutturali di tale unità immobiliare, in quanto la sentenza che andremo ad esaminare darà piena rilevanza proprio a tale aspetto.

Ebbene, per accedere al locale, è necessario (da sempre) attraversare un portone condominiale, superato il quale si giunge ad un vano scala; dopo una rampa di pochi gradini, si giunge ad un ascensore e ad un'altra rampa di gradini, che conducono ai piani superiori. Al primo piano, si trova il portone di ingresso principale dell'attività. Come si può agevolmente evincere, l'intero percorso per accedere al locale è di esclusiva proprietà condominiale.

Vi è un’altra doverosa e preliminare precisazione da fare: prima dell'inizio dell'attività, all’interno del locale erano state eseguite opere di manutenzione straordinaria, regolarmente assentite. Nel corso degli anni, l’attività era stata destinataria di numerosi controlli da parte delle autorità amministrative competenti, tra cui anche il Comune di Latina; ma mai nessuna delle irregolarità contestate si è poi dimostrata dotata di fondamento.Fatte tutte le doverose premesse del caso, diviene interessante capire come mai si giunge ad un procedimento giudiziario.

La verifica di conformità del locale

Il Comune di Latina che, come si è detto, aveva già attenzionato l’esercizio commerciale di cui si discute, si determinava ad avviare un nuovo procedimento volto a verificare la conformità del locale alla vigente normativa in tema di barriere architettoniche. Veniva così eseguito un sopralluogo da parte di un tecnico comunale (con tanto di rilievi fotografici), e da tale accesso emergeva che l'unità commerciale fosse al suo interno adeguata alla legge. Tuttavia, risultava inaccessibile dall'ingresso al piano terra, in quanto l'esistente ascensore non era di adeguate dimensioni, e la scala risultava sprovvista di dispositivi idonei al superamento delle barriere architettoniche.

L’ente provvedeva così ad ordinare la cessazione immediata dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale in questione. Inutile dire che, a fronte di un provvedimento così grave, il gestore dell’esercizio non è rimasto inerte, ma ha prontamente deciso di rivolgersi al Tar competente, chiedendo in tale sede l'annullamento dell’ordinanza, ed il risarcimento dei danni conseguenti.Il Tar adito, tuttavia, non riteneva che le argomentazioni addotte dal ricorrente fossero dotate di pregio, e respingeva il ricorso. Ne conseguiva un appello, e la vicenda viene rimessa al vaglio del Consiglio di Stato.

La decisione del Consiglio di Stato

Investiti della vicenda, i giudici di Palazzo Spada passano in rassegna tutti gli atti ed i fatti di causa.Dalla disamina, emergeva che i locali commerciali ove si svolge l'attività fossero stati interamente adeguati al loro interno, risultando del tutto conformi alla normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche. Ad avviso del Consiglio di Stato, le contestate criticità riguardavano le sole parti comuni del fabbricato condominiale ove insisteva il locale, un immobile edificato in epoca anteriore all'entrata in vigore del decreto 236 del 1989, ovvero il testo normativo adottato dal nostro ordinamento per realizzare il graduale superamento delle barriere architettoniche negli edifici.

Secondo il Tar, il Decreto in parola si applicherebbe anche laddove, come nella presente fattispecie, il locale commerciale insiste in edificio risalente ad epoca anteriore all'entrata in vigore dello stesso, e sulle cui parti comuni non siano mai stati effettuati interventi edilizi di ristrutturazione.Ma il Consiglio di Stato, ritiene di non poter condividere tale tesi, e ne fornisce una valida argomentazione. Come si diceva, il menzionato decreto ministeriale contiene prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità, e la visitabilità degli edifici privati, residenziali e non residenziali, nonché di edilizia residenziale pubblica, il tutto ai fini del superamento delle barriere architettoniche. Tuttavia, il testo normativo circoscrive espressamente l'ambito della sua applicazione alle sole ipotesi di nuova costruzione, ovvero alla ristrutturazione dei suddetti edifici. Soltanto in quest'ultimo caso (ristrutturazione edilizia), il Decreto appare applicabile anche se gli edifici siano preesistenti alla sua entrata in vigore.

Nel caso di specie, l'edificio è preesistente al 1989, ma non è mai stato oggetto di ristrutturazione, essendo state soltanto eseguite (all'interno del locale condotto in locazione all’attività di ristorazione) opere di manutenzione straordinaria. Ma se anche fosse stata realmente eseguita una ristrutturazione edilizia dell'unità immobiliare in cui l'appellante esercita l'attività di ristorazione, non sarebbe stato comunque possibile applicare il decreto ministeriale del 1989. Infatti, gli interventi edilizi avrebbero interessato sempre e solo l'edificio in cui viene esercitata l'attività, e non le parti condominiali di accesso all'edificio, ovvero le cosiddette parti comuni.Il sopralluogo del tecnico comunale, aveva evidenziato che le irregolarità fossero attinenti all’edificio condominiale; e difatti, l’ascensore e la scala risultati non a norma, sono parti comuni dell’edificio, solo funzionali all’eccesso al locale bar-ristorante.

Conclusioni

Nessuna responsabilità appare dunque ravvisabile in capo al gestore del locale, che è stato raggiunto da un provvedimento del tutto illegittimo.I giudici di Palazzo Spada vanno oltre, “bacchettando” ulteriormente il Comune.E difatti, secondo il Consiglio di Stato l'ente ben poteva anche in precedenza orientarsi diversamente, ad esempio inibendo l'attività di somministrazione fin dall’inizio, senza ingenerare, mediante il rilascio dell'agibilità dei locali e dei menzionati titoli abilitativi, un legittimo affidamento nell'appellante.In conclusione, l'appello viene accolto, apparendo fondato sotto ogni punto di vista.L’ordinanza comunale viene annullata, e tale decisione viene considerata pienamente satisfattiva per il ricorrente, a cui non viene dunque riconosciuto alcun risarcimento.

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