Perché è opportuno parlare di criterio misto nella redazione del rendiconto condominiale
Sul piano tecnico non esiste antagonismo giuridico tra i due parametri che, più che escludersi a vicenda, si inglobano
Il Tribunale di Roma, in continuità con le sue precedenti pronunce, con la sentenza 14958/2022, torna a ribadire la necessità di redigere il rendiconto condominiale esclusivamente secondo il criterio di cassa. Tuttavia, non si tratta di un criterio propriamente corretto. Ecco perché.
La vicenda
Nel caso di specie, la parte attrice si doleva dell’inserimento nel rendiconto di gestione 2019 di una spesa, fatturata dal fornitore nel 2018, dell'importo di 3.300,00 euro e pagata dal condominio nel 2020, sostenendo, appunto, che avrebbe dovuto far parte della gestione condominiale del 2020 e, quindi, inserita nel consuntivo 2020 e non in quello del 2019. Secondo Roma, «il bilancio, o meglio il conto consuntivo della gestione condominiale, non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa.L’inserimento della spesa va annotato in base alla data dell’effettivo pagamento, così come l’inserimento dell’entrata va annotato in base alla data dell’effettiva corresponsione».
Non si adopera solo il criterio di cassa
Quello che sostiene il Tribunale è tecnicamente condivisibile soltanto in parte. In realtà, la rilevazione e l’annotazione dell’entrata e dell’uscita come mera variazione finanziaria di incidenza sulla cassa avviene certamente secondo il criterio di cassa ma perché riguarda il solo registro di contabilità. Che rappresenta, lo ricordiamo, soltanto uno dei tanti documenti che compongono il rendiconto condominiale ex articolo 1130-bis del Codice civile, da considerare un vero e proprio fascicolo di rendicontazione. Al contrario, vi sono documenti facenti parte della struttura complessa del rendiconto condominiale, come la situazione patrimoniale e il classico bilancio di conto economico verticale, che “esigono” la rilevazione e registrazione di fatti contabilmente rilevanti secondo il criterio della competenza, ovvero secondo il criterio della relatività della spesa e dell’obbligazione che ne deriva a carico tra i condòmini ex articolo 63 Disposizioni di attuazione del Codice civile, pena lo svuotamento del documento stesso.
Il criterio misto di compilazione
Pertanto, è opportuno discorrere di criterio misto di compilazione, sia per la numerosità dei documenti sia per la loro differente natura e per le diverse variazioni – economiche, patrimoniali o finanziarie – che lo stesso fatto originario determina. Così, la bolletta elettrica del mese di ottobre 2019, ad esempio, sarà di competenza della gestione condominiale 2019 e ripartita – indubitabilmente – tra i condòmini in quell’anno, registrata come costo di esercizio nel bilancio verticale di conto economico del 2019 e rilevata tra i debiti di quell’anno pendenti al 31 dicembre. Quando, poi, sarà pagata, ad esempio, a febbraio 2020, ecco che la mera manifestazione finanziaria di incidenza sull’uscita di cassa sarà registrata nel registro di contabilità del 2020 e rilevata nel conto entrate ed uscite del riepilogo finanziario del 2020 senza, tuttavia, avere nel 2020 alcuna competenza e, quindi, alcuna ripartizione a carico dei condòmini che resta ferma al precedente anno.
Il criterio di competenza non esclude quello di cassa
La sentenza continua sostenendo come «la mancata applicazione del criterio di cassa (Cassazione, 10153/11; Cassazione, 27639/18) è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio. In particolare, non rendendo intellegibili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condòmino, non evidenzia la reale situazione contabile». Al contrario, sul piano puramente tecnico-contabile, è corretto proprio l’opposto. Infatti, l’applicazione del criterio di competenza ingloba e non esclude quello di cassa che resta applicato sia al conto entrate/uscite che al registro di contabilità, documenti deputati proprio alla rappresentazione dei flussi in maniera più che chiara e intellegibile. Le quote spettanti ai condòmini, invece, sono frutto della ripartizione per competenza che tiene conto, necessariamente, dei costi maturati e relativi all’anno di riferimento ma non ancora necessariamente pagati, applicando, quindi, il criterio della competenza, ovvero, della relatività dell’obbligazione propter rem ex articolo 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile.
Finanche i versamenti dei condòmini incassati a gennaio 2020 nelle more della chiusura del rendiconto 2019 ma riferiti con precisa causale al dicembre precedente devono seguire il criterio della competenza, anche in considerazione dell’applicazione alle dinamiche condominiali dell’articolo 1193 del Codice civile. D’altro canto, se così non fosse, non si comprenderebbe attraverso quale altra via si potrebbero stabilire le posizioni a conguaglio tra partecipanti e condominio e i debiti e i crediti di quest’ultimo nei rapporti con i terzi verso l’esterno. Inoltre, la richiamata “reale situazione contabile” non può che desumersi dalla situazione patrimoniale - prevista dal nuovo articolo 1130-bis del Codice civile - compilata proprio secondo il criterio misto di cassa e competenza e giammai dal solo registro di contabilità o dal solo conto entrate/uscite.
Con la sentenza 5969/2020, il Tribunale di Roma sosteneva che «il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune anno per anno e di raffrontare le entrate/uscite preventivate con quelle effettive (Cassazione, 27639/18)» . Questo è vero da un lato ma è errato dall’altro nella misura in cui tende ad escludere l’applicazione del criterio della competenza. Inoltre, il bilancio preventivo prova a stimare i costi del nuovo anno e non le possibili uscite di cassa.
Uscite e spese non sono mescolabili
Sempre il Tribunale, in questa lunga ed articolata sentenza, continua affermando che «laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa che di competenza (cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese e alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro) i condòmini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono chiaramente e separatamente indicate le poste per esercizio». Ancora una volta, si tratta di argomentazioni corrette ma con una prospettiva tecnicamente errata. Invero, nella circostanza narrata, saremmo di fronte a un mero errore tecnico posto che non è assolutamente possibile “mescolare” le uscite con le spese semplicemente preventivate. Si tratterebbe, però, di un verosimile errore sostanziale e metodologico di quel rendiconto oggetto di giudizio senza, per questo, potersi sostenere che l’applicazione del criterio misto sia di per sé un errore.
Nessun residuo attivo e passivo
«Inoltre – continua Roma con la sentenza 5669/2020 – con il bilancio, devono sempre essere indicati la situazione patrimoniale del condominio e gli eventuali residui attivi e passivi, l’esistenza e l’ammontare di fondi di riserva obbligatori (ad esempio l’accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall’assemblea per particolari motivi (ad esempio fondo di cassa straordinario)». Anche in questo caso si tratta di affermazioni tecnicamente infondate. Innanzitutto, la situazione patrimoniale del condominio non può avere residui attivi o passivi poiché si tratta di un ente chiamato al governo di un patrimonio meramente gestorio che impedisce sia arricchimento (sarebbero i residui attivi) che impoverimento (i presunti residui passivi). Sotto l’aspetto economico, infatti, il condominio è assimilabile a un’impresa di erogazione dal profilo corporativo, che si sostiene sul principio del finanziamento mutualistico interno che garantisce e rispetta l’equilibrio assoluto tra attività e passività patrimoniali. Inoltre, proprio l’accantonamento del fondo Tfr rappresenta uno di quei famosi costi rilevabili esclusivamente secondo il criterio della competenza e che non si trasformano in uscita di cassa di gestione trattandosi, invero, di una variazione di incidenza sulla redditività dell’ente e quindi sul capitale e non sulla cassa.
Non c’è scontro tra i due criteri
E dunque, nel caso di rendiconto per solo criterio di cassa, viene da chiedersi come sarebbe mai possibile aggiornare le variazioni positive e negative di tali conti all’interno del conto economico (che esiste sebbene l’articolo 1130-bis non ne preveda la presentazione) e della situazione patrimoniale che, per definizione, rimangono conti di costo e conti passivi movimentati, ancora una volta, per sola competenza. Nel 2020 Roma continua sostenendo che «ovviamente la situazione patrimoniale deve rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente onde verificare la possibilità di un'eventuale scomparsa di somma di danaro». Ennesimo errore! Al contrario, la situazione patrimoniale è un documento in continua evoluzione e può certamente modificarsi di anno in anno (anzi, dovrebbe accadere proprio questo), posto che nel caso contrario sì che si violerebbe il principio della veridicità e correttezza. E le modifiche non riguardano soltanto l’espressione numeraria dei risultati ma anche i conti intermedi e/o analitici.Ora, alla distanza di dieci anni dalla scrittura della legge di riforma 220/2012, resta da chiedersi per quale ragione, ancora oggi, si continuano ad emettere sentenze completamente errate sul piano tecnico-contabile e a dibattere su uno pseudo antagonismo giuridico tra criterio di cassa e competenza che non esiste sul piano tecnico.
Improprio parlare di redazione col solo criterio di cassa
Assistere a questo “scontro giuridico” tra diversi tribunali, da Roma e Milano per il criterio di cassa, ad Udine e Cosenza per il criterio misto, passando per la neutralità di Bologna, è davvero disarmante. Occorre avere il coraggio di dire come non possa essere una sentenza a stabilire il criterio di redazione del rendiconto condominiale quando, avendo il legislatore compiuto una precisa scelta strutturale e morfologica del documento, non può che spettare al tecnico declinarne il contenuto sulla base della scienza economica.Va ribadito, invece, come sia tecnicamente impreciso continuare a sostenere il principio della redazione del rendiconto secondo il solo criterio di cassa. E come sia altrettanto improprio sostenere che il criterio di competenza generi confusione e violi il principio dell’intellegibilità. In realtà, il principio della chiarezza e della verità sono violati proprio quando si negano le regole contabili e quando quello specifico documento risulti imbastito negando l’evidenza dei costi, dei debiti e dei crediti che richiedono l’applicazione del criterio della competenza.
Perché parlare di criterio di pertinenza
Il nuovo articolo 1130-bis del Codice civile, dunque, introduce una vera e propria struttura complessa del rendiconto condominiale che non può che evolversi proprio sotto il cappello generale del criterio della competenza poiché si compone di diversi documenti, ognuno dei quali richiede ora il rispetto del criterio di cassa, ora quello di competenza che comprende e non esclude il precedente. Poi, sul piano ancor più squisitamente condominiale, si dovrebbe addirittura discorrere di criterio di pertinenza e relatività della spesa e non, certamente, di criterio di competenza economica nell’accezione più aziendalistica e ragionieristica intesa e diffusa del termine. Insomma, è sempre più urgente prendere atto della necessità di consentire alla comunità tecnico-scientifica di riferimento di muovere azioni di convergenza su uno statuto concettuale e metodologico della disciplina ragionieristica condominiale per poi continuare e puntare alla formazione specialistica anche dei Ctu e dei Ctp che, intervenendo nei processi, anche in maniera funzionale alla formazione del giudizio e della decisione del Giudice, non possono essere professionisti generalisti che non riescono a cogliere le connessioni ed intersezioni tra diritto condominiale, tecnica contabile e disciplina ragionieristica pertinente pur essendo i migliori esperti di contabilità commerciale.
Un processo inutile?
Per concludere, giova tornare all’incipit della vicenda che discorreva di una spesa fatturata dal fornitore del condominio a dicembre 2018 per una curiosa e doverosa precisazione. Per quanto consta agli atti disponibili, è bene rilevare come, qualora la spesa fosse riferita a una attività ordinaria di prestazione di servizi o cessione di beni avvenuta nel 2018, quella spesa andasse ripartita proprio nel 2018 e non nel 2019 come fatto da quella amministrazione condominiale, nè nel consuntivo 2020 come ritenuto dal Tribunale di Roma. Insomma, in tal caso, al netto delle altre questioni dedotte, saremmo addirittura di fronte ad un processo inutile.