Condominio

Pignorabilità del conto corrente condominiale in contrasto con la tutela del condomino virtuoso

Se ne è discusso durante l’apertura della nuova sede Unai di Bergamo

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di Luca Savi

Lo scorso 25 febbraio si è tenuto a Bergamo il convegno dal titolo: «L'amministratore di condominio. Doveri, poteri e responsabilità nella vita condominiale» che ha segnato la nascita della sede provinciale di Unai. Anche a Bergamo arriva quindi un presidio Unai.
Dopo la riforma apportata dalle legge 220 del 2012, che ha fortemente innovato la materia condominiale e contribuito a tratteggiare la figura dell'amministratore, la recente novella legislativa legata all'emergenza coronavirus, nonché, ancor più, il Dl 34/2020, cosiddetto decreto Rilancio, che ha visto i condomìni quali principali destinatari del superbonus, hanno reso di marchiana evidenza la necessità di attenta formazione degli amministratori di condominio, sempre più carichi di incombenze e responsabilità.

Focus sui crediti passivi
Tra i temi oggetti di studio particolare interesse ha destato il recupero del credito nei confronti del condominio, detti anche crediti passivi.Occasione per tracciare lo stato dell'arte sulla materia oggetto di studio è stata l'analisi della recente sentenza 33482 dell’ 11 novembre 2021 della Cassazione che ha confermato, in tema di patologia delle delibere assembleari, la mera annullabilità della delibera assembleare con la quale il condominio aveva ripartito tra tutti i condòmini la somma necessaria all’amministratore per ripianare un debito del condominio, che aveva determinato il pignoramento delle somme giacenti sul conto corrente condominiale.

Al di là dell'esito giudiziale della vertenza, che invero si colloca nel solco tracciato dalla nota sentenza a Sezioni unite 4805/2005, ciò che rileva ai fini della nostra analisi sono gli aspetti connessi al recupero del credito nei confronti del condominio ed alle azioni esercitabili direttamente nei confronti d quest'ultimo, piuttosto che nei confronti dei condòmini, nella loro qualità di comproprietari delle parti comuni.

La pignorabilità del conto corrente condominiale
La prima questione giuridica da affrontare attiene, infatti, alla pignorabilità del conto corrente condominiale.Quantomeno nell'ultimo lustro la gran parte dei Tribunali italiani ha ritenuto possibile tale aggressione diretta del patrimonio, prima facie, condominiale, piuttosto che dei singoli partecipanti al condominio. Per la giurisprudenza di merito formatasi sul punto il condominio, pur essendo un ente di gestione senza personalità giuridica acquisisce, comunque, una sorta di sua “soggettività giuridica” distinta e separata da quella dei condòmini - comproprietari. In base a tale assunto i vari giudici investiti della questione hanno opinato che vi sia una separazione tra i patrimoni dei singoli condòmini e il patrimonio affidato all'amministratore.

Nella gestione del conto corrente, pertanto, il condominio si configura come centro autonomo di imputazione di posizioni giuridiche, in guisa tale che sussisterebbe, nella sostanza, un vincolo di destinazione che, contrariamente alle parti comuni dell'edificio, determinerebbe la rottura del legame giuridico tra singoli condòmini e condominio. In altre parole le somme affluite sul conto corrente de quo formerebbero un «patrimonio condominiale» aggredibile dai creditori del condominio ex articolo 2740Codice civile (tra le tante: Tribunale Reggio Emilia, ordinanza 16 maggio 2017; Tribunale Milano, ordinanza 27 maggio 2014; Tribunale Ascoli Piceno, ordinanza 26 novembre 2015).

L’obbligo dell’apertura di un conto corrente
I citati Tribunali hanno mutuato tale teoria giurisprudenziale da una lettura rigorista e, a giudizio di chi scrive, avulsa dal contesto imposto dalla sentenza a Sezioni unite della Cassazione 9148/2008 prima e dalla legge di riforma del condominio 220/2012 poi, di alcune norme del Codice civile. Si pensi in primis al settimo comma dell’articolo 1129 Codice civile che dispone: «L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente postale o bancario, intestato al condominio».

Da tale obbligo discenderebbe una asserita separazione o meglio una confusione dei contributi pecuniari conferiti dai singoli condòmini che ne spezzerebbe il legame con i condòmini medesimi a favore di un patrimonio “proprio” dell'ente di gestione.In secundis si pensi all'articolo 63, comma secondo, disposizioni attuative Codice civile, che come noto postula: «I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condòmini». Lo stesso, per i giudici in parola, riguarderebbe solamente i rapporti interni tra i condòmini, mentre l'apertura del conto corrente darebbe origine ad una terza entità giuridica che garantisce i terzi creditori “all'esterno” con il proprio patrimonio, vale a dire l'attivo presente sul conto corrente condominiale.

Tale tesi è stata, in particolar modo, sostenuta dal Tribunale meneghino con la sentenza 21 novembre 2017.Orbene detta tesi, a sommesso avviso di chi scrive, risulta giuridicamente inaccettabile sia sotto il profilo formale che sostanziale.Secondo il primo aspetto la stessa risulta in netto contrasto con gli assunti della citata sentenza Sezioni unite 9148/2008.La stessa consacra l'obbligazione condominiale quale obbligazione parziaria secondo un itinerario logico di pregevole fattura. In particolare, la Corte, procedendo ad una ricostruzione in termini di teoria generale della solidarietà, precisa che, quando la prestazione, ancorché comune, è divisibile, perché trattasi di somma di denaro, la solidarietà può trovare applicazione soltanto se sia espressamente prevista da una norma di legge.

La tutela dei condòmini virtuosi
Conseguentemente, atteso che nel condominio la solidarietà non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l’articolo 1123 Codice civile non distingue il profilo esterno da quello interno, prevale la parziarietà dell’obbligazione intrinsecamente divisibile, poiché l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote.Gli ermellini, in buona sostanza, hanno voluto rivendicare la necessaria tutela in favore dei condòmini virtuosi affermando che il principio della parziarietà delle obbligazioni condominiali assunte nell’interesse del condominio, nel senso della loro ripartizione tra i singoli condòmini in proporzione alle rispettive quote, si applica direttamente nei confronti dei terzi, dopo la condanna dell’amministratore per il mancato adempimento delle stesse.

Ciò evita che i singoli condòmini siano costretti ad anticipare somme, a volte assai cospicue, in seguito alla scelta inattesa operata unilateralmente dal creditore che, conoscendo la situazione della parte debitrice, potrebbe agire per intero contro uno solo dei condòmini, magari il più virtuoso fra tutti. Detto assunto della Corte deve essere letto in stretta correlazione con il disposto del novellato articolo 63, comma secondo,disposizioni attuative Codice civile che introduce nell'ordinamento condominiale il cosiddetto beneficium excussionis, vale a dire l'impossibilità del terzo creditore di agire nei confronti dei condòmini virtuosi in difetto di preventiva escussione di quelli morosi.

Il condominio ente di gestione anomalo
Orbene, se l'obbligazione condominiale è pacificamente parziaria e se il terzo creditore deve escutere in via preliminare i condòmini morosi si deve necessariamente concludere che la provvista afferente al conto corrente condominiale vada ascritta in quota parte ai condòmini virtuosi e non già a quelli morosi, poiché in difetto questi ultimi non sarebbero tali.Non si può, poi, sottacere come i giudici della Cassazione abbiano compiutamente ed inequivocabilmente tratteggiato il condominio come ente di gestione anomalo in quanto privo di patrimonio autonomo.

Secondo gli stessi nonostante l’opinabile rassomiglianza della funzione, vale a dire il fatto che l’amministratore e l’assemblea gestiscano le parti comuni per conto dei condòmini, ai quali le parti comuni appartengono, le ragguardevoli diversità della struttura, in quanto gli enti di gestione veri e propri si contrassegnano in ragione della soggettività (personalità giuridica pubblica) nonché per l'autonomia patrimoniale, dimostrano l'inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell’ente di gestione al condominio negli edifici.

Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, nè di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condòmini; agli stessi condòmini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti.

Conclusioni
Quanto esposto rende del tutto evidente l'impossibilità da parte dei terzi creditori di pignorare il conto condominiale, in quanto patrimonio afferente pro quota ai singoli condòmini, se non dopo la preventiva, infruttuosa, esecuzione nei confronti dei partecipanti alla cosa comune non in linea con i pagamenti.Unisco arresto giurisprudenziale che condivide detta interpretazione che risulta, ad oggi, essere l'ordinanza del Tribunale di Teramo del 18 aprile 2019, in seduta collegiale, in seguito a reclamo, secondo il quale è pacifico che la norma contenuta nell'articolo 63 disposizioni attuative Codice civile debba essere interpretata nel senso che, qualora vi sia un condomino moroso il creditore (qualunque sia la somma ) debba sempre preliminarmente agire nei confronti del condomino moroso, anche nell’ipotesi in cui vi siano somme accreditate sul conto corrente condominiale.

Del resto, se il creditore potesse agire direttamente nei confronti del conto corrente condominiale, senza preliminarmente agire nei confronti dei condòmini morosi, risulterebbe svuotata dal di dentro la ratio della norma, il cui obiettivo è proprio quello di fare in modo che, qualora vi siano condomini morosi, debba essere tutelato ogni cespite patrimoniale riferibile ai condomini in regola con i pagamenti.

Per completezza si rileva, infine, come unica norma a sostegno della teoria della pignorabilità del conto condominiale, quantomeno in tema di appalto, peraltro non posta da alcun Tribunale a fondamento del proprio ragionamento, potrebbe essere ravvisata, a giudizio di chi scrive, nell'articolo 1135 comma primo, n. 4 Codice civile – così come modificato dalla legge 220/2012 e dal Dl 145/2013 – il quale afferma che l'assemblea dei condòmini provvede «alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituto in relazione ai singoli pagamenti dovuti».

In forza di quanto dedotto si potrebbe legittimamente opinare che, se in tema di appalto è obbligo dell'assemblea formare un fondo speciale di riserva e questo, in forza del citato articolo 1129, settimo comma, Codice civile, deve necessariamente confluire sul conto corrente condominiale, allora la provvista ivi rinvenuta è, ineluttabilmente, destinata a costituire tale riserva e di conseguenza, quantomeno con buona approssimazione, alla soddisfazione dell'obbligazione pecuniaria vantata dal terzo appaltatore, in ragione anche del pari obbligo di legge posto in capo all'amministratore dal nono comma del citato articolo di recuperare con sollecitudine, segnatamente entro sei mesi dal rendiconto, i crediti nei confronti dei condòmini morosi.

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