Condominio

Servitù di parcheggio dinanzi alle Sezioni unite e quorum nei condomìni minimi tra i temi della settimana

In particolare il primo tema è di particolare interesse alla luce della non univoca natura prediale del parcheggio

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di Antonio Scarpa

In Diritto e pratica condominiale 24 aprile 2023 è stato pubblicato il commento di S. Impellizzeri, Posti auto in attesa di giudizio: la rimessione alle Sezioni unite dell'annosa questione circa la costituzione di servitù prediali di parcheggio, a proposito del decreto della pprima presidente della Cassazione del 30 marzo 2023, relativo al ricorso Ruolo generale 26011/2018, rimesso alle Sezioni unite per decidere sulla questione «se l'articolo 1027 Codice civile consenta la costituzione di servitù aventi ad oggetto il parcheggio di un'autovettura su un immobile di proprietà altrui (a condizione che, in base all'esame del titolo, tale facoltà risulti essere stata attribuita a diretto vantaggio del fondo dominante, per la sua migliore utilizzazione, quale utilitas di carattere reale) oppure se il contratto che riconosca o costituisca una servitù di parcheggio di autovetture sia nullo per impossibilità dell'oggetto (difettando la realitas propria del diritto reale minore)».

La questione della cosiddetta «servitù di parcheggio» è ancora oggetto di non univoca interpretazione giurisprudenziale (si vedano, indicativamente Cassazione 7561/2019; Cassazione 16698/2017; Cassazione 23708/2014; Cassazione 15334/2012; Cassazione 5769/2013; Cassazione 1551/2009; Cassazione 8137/2004; Cassazione 8737/2001; Cassazione 190/1999; Cassazione 3370/1995). L'unico vincolo di tipicità delle servitù volontarie attiene alla minima unità effettuale indicata dall'articolo 1027 Codice civile: perché si abbia servitù prediale, occorrono due fondi distinti, appartenenti a proprietari diversi, nonché un peso imposto sopra un fondo e l’utilità dell’altro.

Visto poi che l'articolo 1030 Codice civile esclude che il proprietario del fondo servente possa essere tenuto ad un facere, il vantaggio che della servitù ritrae il fondo dominante non deve provenire da un comportamento dell'uomo, ma dal fondo stesso gravato dal peso. Non è invece tipico il contenuto del peso come della correlata utilità. Il contenuto concreto delle facoltà e dei poteri attribuito al titolare di una servitù prediale è, piuttosto, atipico, e può consistere in qualsiasi utilità, non legislativamente determinata, per la migliore utilizzazione di un fondo, ed è perciò arbitrario escludere la realità sulla base di astratte considerazioni relative alla natura del peso gravante.

Invero, la nozione di “utilitas” del fondo dominante, di cui all’articolo 1027 Codice civile, va commisurata alla limitazione del diritto di proprietà del fondo servente, quale esso risulta dal titolo, non coincidendo con qualsiasi vantaggio, anche di fatto, che possa trarne il titolare, ma solo con quello corrispondente al contenuto del peso imposto. In tal senso, affinché il titolo costitutivo di una servitù abbia la causa tipica, l’imposizione del peso a carico del fondo servente deve realizzare una utilitas riconducibile realmente alla situazione obiettiva ed alla destinazione del fondo dominante, cui è rivolto il vantaggio.

Una risalente pronuncia precisò, ad esempio, che nel contenuto normale di una servitù di passaggio gravante su di un fondo non rientra anche la facoltà di sostare nel fondo con i mezzi di locomozione adoperati, in quanto attività che non è generalmente necessaria all'esercizio della servitù a norma dell’articolo 1064 Codice civile; pur tuttavia la facoltà di sostare nel fondo altrui può essere prevista espressamente dal titolo o risultare dagli altri elementi indicati dall’articolo 1063 Codice civile (Cassazione 26 gennaio 1980, numero 637). Più di recente, si è deciso in giurisprudenza che una servitù di passaggio non comporta di regola nemmeno l’effettuazione della manovra di inversione di marcia, pur potendosi tale facoltà rivelare necessariamente implicita, specie in relazione allo stato dei luoghi (come appunto ritenuto nella specie, con riguardo al tratto cieco finale di una piccola strada di collegamento) (Cassazione 14820/2018).

È obiettivamente arduo ravvisare rilevanti differenze da un punto di vista materiale, e di conseguenza da un punto di vista giuridico, fra due attività umane come, rispettivamente, transitare o parcheggiare un'autovettura all'interno di un fondo di proprietà altrui. Come per il passaggio, così per il parcheggio, i proprietari di fondi confinanti, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 Codice civile, possono dar luogo:
1) sia ad un rapporto di natura meramente reale, il quale consista, cioè, nell’imposizione di un peso sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante, e quindi in una relazione di asservimento del primo al secondo, che si configura come una qualitas fundi;
2) sia alla pattuizione di un obbligo e di un corrispettivo diritto di parcheggiare, previsto per il vantaggio e la comodità della persona o delle persone specificamente indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria.

Conseguenza dell'eventuale natura personale e del carattere obbligatorio della convenzione costitutiva del diritto di parcheggio (o di passaggio) su fondo altrui è che essa, a norma dell’articolo 1372 Codice civile, produca i suoi effetti soltanto nei confronti delle parti e dei loro eredi, e non anche nei confronti dei successori a titolo particolare mortis causa o per atto fra vivi, se non attraverso uno degli strumenti negoziali tipici all’uopo predisposti dall’ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto), ovvero in forza di apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene “asservito”.

Perché, allora, il parcheggio di autovettura non può comprendersi nel concetto di utilitas e di predialità, proprio della servitù, il quale è inteso da giurisprudenza e dottrina in senso tanto ampio da contemplare ogni vantaggio del fondo dominante (indipendente da un effettivo incremento del valore economico dell’immobile), come quello di assicurargli una maggiore amenità, connotato altresì dall'inerenza passiva al fondo servente? L’utilità di una servitù rivela il carattere di predialità, cioè di inerenza alla cosa, e produce l'effetto della ambulatorietà, purché assicuri un miglior godimento del bene al suo titolare, ovvero agevoli le facoltà dominicali di questo.

Ad esempio, la previsione, contenuta in un regolamento condominiale, che comporti l'obbligo o il divieto di destinazione a parcheggio di parti di proprietà esclusiva o di spazi comuni, può dar luogo a servitù reciproche, in quanto tali soggette a trascrizione, e non limitarsi ad un semplice vantaggio personale che si siano scambiati i condòmini che vi abbiano aderito?Anche, dunque, la facoltà di parcheggiare può rivelare, dall'esame del titolo, quel carattere di collegamento strutturale e durevole fra il gravame imposto a una proprietà e il vantaggio per l’altro fondo «in quanto tale» (e non al proprietario di esso in quel dato momento, «in quanto individuo»), collegamento che vale a distinguere le servitù dagli altri diritti reali nei quali i vantaggi che il titolare del diritto ricava da esso sono “personali”.

L’autonomia negoziale, non più compressa dalla tipicità legale delle antiche servitutes, ha il potere di costituire, con uno specifico accordo contrattuale, una servitù che abbia come oggetto il contenuto di una limitazione della proprietà immobiliare consistente nel diritto di posteggiare autoveicoli, né la mancata previsione di una servitù tipica di parcheggio sembra valere ad escluderne la possibile esistenza giuridica.

Merita attenta lettura il contributo di G. Cice, Il Condominio “minimo” ed il Condominio “piccolo” sono pur sempre condomìni, in Diritto e pratica condominiale 26 aprile 2023, a proposito di una recente sentenza del Tribunale di Torino che in un «piccolo condominio», avente meno di nove condòmini, ha ritenuto applicabile alle deliberazioni dell'assemblea la disciplina dettata in tema di comunione ordinaria. È invece abbondantemente consolidato, quanto meno a far tempo da Cassazione Sezioni unite 31 gennaio 2006, numero 2046, l'orientamento giurisprudenziale secondo cui anche nel condominio “minimo”, formato, cioè, da due soli partecipanti, operano le norme in tema di organizzazione (articoli 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137, 1138 Codice civile), e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell’assemblea, pur essendo impedito il ricorso al principio di maggioranza (da ultimo, Cassazione 30 luglio 2020, numero 16337; Cassazione 15705/2020).

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