Condominio

Vietata la sopraelevazione se lo prevede il regolamento condominiale di natura contrattuale

Legittima la clausola che impone maggiori vincoli a tutela dell'assetto originario dell'edificio

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di Ivan Meo e Roberto Rizzo

Il regolamento di condominio di natura contrattuale che abbia ad oggetto la conservazione dell'originario aspetto architettonico dell'edificio, ben può contenere prescrizioni vincolanti che comprimono il diritto di proprietà dei singoli condòmini, mediante il divieto assoluto di qualsiasi intervento edilizio sulla struttura del fabbricato, anche di proprietà esclusiva.

La realizzazione di opere esterne ed ulteriori, soprattutto se difformi da quelle autorizzate in precedenza dall'assemblea, integra di per sé una modificazione non consentita, che giustifica la condanna al ripristino dell'originario stato dei luoghi. Lo ha stabilito la C assazione con la sentenza numero 12795 dell'11 maggio 2023, ponendo così fine ad una vicenda che aveva visto il ricorrente condominio soccombente per ben due volte, in entrambi i precedenti gradi di giudizio.

La vicenda processuale

La Corte d'appello di Bari, confermando in pieno la pronuncia del Tribunale di Foggia, con la sentenza 477/2018 ha respinto la richiesta dell'ente di gestione, che aveva agito in giudizio al fine di vedere accertata l'illegittimità della costruzione effettuata dalle proprietarie dell'ultimo piano di un edificio condominiale.Queste ultime, sebbene fossero state autorizzate (da una delibera assembleare) alla parziale chiusura del proprio terrazzo a livello con una pensilina amovibile, al solo fine di ovviare ad infiltrazioni d'acqua piovana nelle giornate ventose, avevano al contrario realizzato una veranda (con struttura in vetro e muratura, e copertura in polistrato), determinante un sensibile incremento del volume abitabile, oltre che una chiara violazione del regolamento di natura contrattuale.

Lo statuto condominiale, sul punto, vietava, infatti, radicalmente qualsiasi tipo di intervento edificatorio implicante una modifica dell'originario aspetto architettonico dell'edificio, con una tutela decisamente più incisiva di quella prevista per il decoro architettonico, nella versione dell'articolo 1120, secondo comma del Codice civile antecedente alla riforma del condominio, vigente al tempo della proposizione della domanda.Posto che tali censure non erano state accolte dalla Corte distrettuale, che, al contrario, aveva ritenuto le opere realizzate pienamente lecite in quanto non implicanti alcuna alterazione dell'aspetto originario del fabbricato, il soccombente aveva proposto ricorso per la cassazione della pronuncia.

Le valutazioni della Cassazione

La Corte, dopo aver risolto alcune questioni preliminarmente di natura strettamente processuale, osserva che, ai fini dell'applicabilità alla fattispecie dell'articolo 1127 del Codice civile, la nozione di sopraelevazione comprende, non solo l'ipotesi della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie, indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato. Sulla scorta di tali premesse, ad avviso degli ermellini, ha errato la Corte distrettuale nel ritenere legittima la realizzazione della veranda, sul presupposto della non incidenza (negativa) della stessa rispetto al decoro architettonico del fabbricato, in quanto non ha considerato adeguatamente che il regolamento contrattuale conteneva, sul punto, delle prescrizioni particolarmente severe.

Per costante orientamento di legittimità (Cassazione, sezioni unite, 10934/2019), infatti, quando il regolamento di condominio contrattuale abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria conformazione architettonica dell’edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condòmini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce una tutela pattizia molto più intensa e cogente di quella ordinariamente prevista dal Codice civile. Ne consegue che, in simili ipotesi, la realizzazione di ogni tipo di intervento edilizio integra di per sé ed in maniera oggettiva, una modificazione non consentita, tale da giustificare la condanna alla riduzione in pristino, senza che abbia rilevanza alcuna, a detti fini, l'eventuale incremento dell'altezza dell'edificio.

La difformità delle opere rispetto alla delibera

L'accertamento della Corte d'appello risulta, inoltre, gravemente incompleto, avendo il collegio trascurato un rilevante profilo fattuale ben evidenziato dall'istante, e consistente nella diversità sostanziale tra l'opera realizzata (la veranda, che, per definizione, è vano chiuso) e quella autorizzata dall'assemblea, ossia una pensilina amovibile del tutto aperta. Alla luce di tali ulteriori decisivi rilievi, al giudice di legittimità non resta che cassare la sentenza impugnata e rinviare alla stessa Corte d'appello di Bari, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del terzo grado di giudizio.

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