Condominio

Bene in comunione o esclusivo, ogni azione giudiziaria richiede oculata valutazione degli argomenti difensivi

Particolare attenzione va data al richiamo ad un fatto decisivo omesso in sede di appello. Quest’ultimo va comprovato in dettaglio

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di Ivana Consolo

L’ordinanza numero 12831 emessa dalla seconda sezione civile della Cassazione in data 11 maggio ultimo scorso, appare meritevole di attenzione non già perché elabori un qualche innovativo principio di diritto condominiale, ma perché consente di capire che forse, prima di “avventurarsi” in tre gradi di giudizio, sarebbe il caso di porre molta attenzione alle argomentazioni difensive che vengono addotte.

Nel giudizio di legittimità, viene condotta un’attentissima disamina sul provvedimento che viene impugnato, e vengono puntualizzate tanto le eventuali fallanze dello stesso, quanto gli errori commessi nel ricorso con cui si pretende di cassare la pronunzia. E se ad errare non sono stati i giudici di merito, bensì gli istanti, ecco che emerge con estrema chiarezza come, una più oculata valutazione preventiva, avrebbe potuto evitare un inutile dispendio di tempo e di danaro.

La vicenda processuale

La Corte d’appello di Catania, rigettava un ricorso spiegato da due condòmini che asserivano il proprio diritto a recingere un’area ritenuta di loro esclusiva proprietà, e chiedevano il trasferimento in luogo diverso di una servitù di passaggio gravante sull’immobile in parola. Ciò che i condòmini ricorrenti definivano proprietà esclusiva, secondo i giudici di secondo grado era invece un bene condominiale, in quanto il titolo (cioè il primo atto di trasferimento di proprietà) non conteneva una sicura clausola di riserva di proprietà in favore del costruttore.

Ad ulteriore conferma di tale ricostruzione, la Corte d’appello considerava come pregnanti altri fattori: la reale volontà delle parti; il progetto edilizio (ove il cortile veniva destinato a parcheggio comune); i successivi atti di vendita che non contenevano nessun riferimento ad un cortile in proprietà esclusiva dei venditori; l’irrilevanza della fruizione più intensa del cortiletto da parte dei ricorrenti; il fatto che l’area esterna venisse utilizzata anche per la sosta delle auto (essendo tale forma di godimento del tutto coerente con la natura del bene).

Infine, i giudici catanesi escludevano che si fosse in presenza di un acquisto coattivo di posto auto da parte degli altri condòmini; difatti, si era in presenza di un cortile comune con tutte le potenzialità di godimento proprie di tale tipo di bene, e le cui dimensioni ridotte (38 metri quadrati) potevano ben rendere possibile un uso turnario dello stesso.La decisione della Corte territoriale, che di fatto ribaltava l’esito del giudizio di primo grado, non andava per nulla bene ai condòmini appellanti, che quindi si rivolgevano alla Suprema corte.

Il ricorso in Cassazione

I motivi di ricorso sottoposti al vaglio degli ermellini, sono i seguenti:
•la mancata considerazione della giurisprudenza esistente sugli spazi destinati a parcheggio, nonché del principio di diritto che prevede la sostituzione automatica della clausola che riserva al venditore la proprietà esclusiva dell’area destinata a parcheggio con la norma imperativa che sancisce il proporzionale trasferimento del diritto d’uso a favore dell’acquirente di unità immobiliari comprese nell’edificio, e che attribuisce al venditore (ad integrazione dell’originario prezzo della compravendita) il diritto al corrispettivo del diritto d’uso sull’area medesima;
•gli appartamenti dei convenuti non prospettano sull’area oggetto del contendere, che deve essere considerata priva delle caratteristiche del cortile che, per definizione, è destinato a dare aria e luce agli ambienti circostanti che vi prospettano;
•non risulta la corresponsione di un ulteriore corrispettivo per il diritto d’uso sull’area destinata a parcheggio, che comunque non rientra nella previsione dell’articolo 1117 del Codice civile, non potendosi qualificare come cortile;
•la Corte d’appello ha omesso di considerare il secondo accesso/cancello ad un’anta previsto nel progetto originario, nonché la riserva di proprietà dell’area di parcheggio (cortile) contenuta nel primissimo atto di vendita.

Il rigetto del ricorso

Investiti della vicenda, i giudici di Piazza Cavour procedono con l’esame dei motivi addotti dai ricorrenti, per valutarne la correttezza a fronte del contenuto logico-giuridico della sentenza censurata.Anzitutto, il tema degli spazi destinati a parcheggio, e della sostituzione automatica della clausola che riservi al venditore la proprietà esclusiva dell’area destinata a parcheggio, non risulta affrontato nella sentenza impugnata, ed il ricorso non offre alcuna informazione utile per verificare che nel giudizio di merito sia stato specificamente trattato.

Ne consegue che, la relativa questione di diritto posta con codesto motivo di ricorso, ed implicante accertamenti in fatto, sia stata per la prima volta introdotta nel giudizio di legittimità e non può formare oggetto di valutazione.L’indagine diretta a stabilire, attraverso l’interpretazione dei titoli d’acquisto, se sia o meno applicabile ad un determinato bene la presunzione di comproprietà di cui all’articolo 1117 del Codice civile, costituisce un apprezzamento di fatto spettante alle prerogative esclusive del giudice di merito. Pertanto, appare incensurabile in sede di legittimità.

Quanto alle lamentele circa le modalità con cui la Corte territoriale abbia valutato le prove a sostegno della causa, secondo la Cassazione non ha alcun pregio contestare che, nel valutare le prove proposte dalle parti, il giudice abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. Trattasi difatti di un’attività valutativa pacificamente consentita al giudicante.Parimenti legittimo appare l’operato del giudice che, nel valutare una prova:
–non abbia operato secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore;
–abbia deciso di attribuire il valore che il legislatore dà ad una differente risultanza probatoria;
–abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, anche se la prova è soggetta ad una specifica regola di valutazione.

Quando siamo in presenza di omissione di un fatto decisivo

Nel caso in esame, appare del tutto legittimo l’apprezzamento che i giudici d’appello hanno fatto sull’istruttoria della causa, e che li ha condotti ad escludere la proprietà esclusiva del cortile. Da ultimo, la Cassazione si sofferma sulla censura circa l’omesso esame di un fatto decisivo.Per fatto decisivo, deve intendersi un fatto storico (principale o secondario) la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, e sia decisivo perché, se fosse stato esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Nella vicenda per cui è causa, i ricorrenti allegano come fatto storico decisivo una clausola contrattuale sulla quale la Corte catanese si è soffermata, analizzandola ed interpretandone la portata nel senso dell’esclusione di una riserva di proprietà esclusiva. Stessa conclusione vale per l’altro fatto decisivo presunto omesso: l’asserita legittimità della presenza di un cancelletto ad una sola anta previsto in progetto, che non si vede come possa scalfire l’apprezzamento del giudice di merito sulla natura comune dell’area.Alla luce dei ragionamenti in diritto processuale operati dagli ermellini, il ricorso appare destituito di qualsivoglia fondamento, e la sentenza della Corte territoriale merita conferma.

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