Condominio

Focus del venerdì: il no del condominio all’ampliamento dell’immobile per decoro va valutato oggettivamente

Per modifiche che potrebbero impattare sull’estetica dello stabile o sulle parti comuni, è obbligatorio il benestare dell’assemblea

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di Rosario Dolce

Quando si intende ristrutturare o ampliare la propria abitazione sovvengono tanti dubbi in ordine all’autorizzazione da chiedere all’assemblea dei condòmini, semmai fossero occorrenti. La Cassazione è stata più volte interrogata - più che sul valore da ascrivere all’articolo 1122 del Codice civile (norma di carattere neutro) - sui vincoli imposti da convenzioni o regolamenti di natura contrattuale, da porre al vaglio assembleare. Ora, proprio per dissipare le latenti incertezze operative e processuali, con la sentenza 37852/2022 , gli ermellini hanno enunciato il seguente principio di diritto: «Allorché una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, obblighi i condòmini a richiedere il parere vincolante dell’assemblea per l’esecuzione di opere che possano pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio, la deliberazione che deneghi al singolo partecipante il consenso all’intervento progettato, ritenendo lo stesso lesivo dell’estetica del complesso, può essere oggetto del sindacato dell’autorità giudiziaria, agli effetti dell’articolo 1137 del Codice civile, soltanto al fine di accertare la situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento il presupposto indefettibile per controllare la legittimità della delibera».

Occorre avvertire l’amministratore

Per cogliere la portata dell’assunto appena reso, giova presupporre il valore ascritto dai giudici di legittimità al vigente articolo 1122, comma 2, del Codice civile. Infatti, la norma dispone che il condomino che intenda procedere ad opere su parti di sua proprietà o uso individuale ne dia preventiva notizia all’amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l’integrità delle cose comuni (e non dunque perché tali opere siano doverosamente “autorizzate” dagli altri partecipanti). Ciò posto, i giudici di piazza Cavour differenziano la fattispecie normativa dal caso in cui sussista una convenzione adottata in sede di regolamento di condominio, la quale impone il consenso dell’assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli che possa modificare le parti comuni dell’edificio.

Il regolamento definisce il limite soggettivo del decoro

La giurisprudenza riconosce, pertanto, all’autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condòmini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Al pari, viene espressamente riconosciuto al regolamento contrattuale il “potere” di quantizzare il limite soggettivo del decoro architettonico, offrendo una definizione più rigorosa di quella accolta dagli articoli 1120 e 1122 del Codice civile e supposta dal medesimo articolo 1102 del Codice civile. Ciò vuol dire che, nelle forme appropriate, i singoli condòmini possono imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica e all’aspetto generale dell’edificio. Richiedere, dunque, per le modifiche incidenti sulle facciate o su altre superfici che concorrano a delineare il decoro del fabbricato, il benestare dell’assemblea, mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, che pone nell’interesse comune una peculiare modalità di definizione dell’indice del decoro architettonico.

Obbligatorio l’ok assembleare

In questi termini – e da qui, il fondamento il presupposto al principio di diritto sopra riportato - i singoli condòmini non possono sottrarsi all’obbligo, di carattere negoziale, derivante dalle disposizioni del regolamento che impongono di richiedere la preventiva autorizzazione assembleare per eseguire qualsiasi lavoro sulle cose comuni o sulle parti esclusive. E, nel caso di presenza di una delibera negativa – cioè ostativa all’autorizzazione (e, in quanto tale, suscettibile di essere impugnata a norma dell’articolo 1137 del Codice civile) - l’onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa, grava sul condòmino che la impugna (argomentazione tratta da Cassazione, 3946/2018; Cassazione, 21831/2005). L’oggetto del giudizio, nel qual caso, consterà di un accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale il presupposto indefettibile per controllare la rispondenza della delibera alla legge o al regolamento (Cassazione, 29924/2019; Cassazione, 5905/1987).

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